Gli piaceva scombinare le certezze, a parte quella di essere Kaiser Karl, appellativo riferito alle sue origini amburghesi. Andandosene a 85 anni, o forse 83 come sosteneva lui, Karl Lagerfeld abbandona l’amatissimo mondo della couture, che lo ha reso famoso, e il trono di direttore artistico di Chanel che ricopriva dal 1983. La data che segna il suo destino è il 13 dicembre 1949 quando la madre Elizabeth, una tedesca sposata al proprietario di una banca d’affari svedese, lo porta con sé ad assistere a una sfilata di Dior. Entra ufficialmente nel mondo del fashion nel 1954 vincendo, ex aequo con Yves Saint-Laurent, un concorso indetto dal Segretariato nazionale della lana. La rivalità con Saint-Laurent, che si consumerà anche nella vita privata, comincia già lì e gli farà dire, anni dopo: «Yves lavorava per Dior. Altri giovani che conoscevo e che lavoravano per Balenciaga pensavano che fosse Dio, invece io non ero così impressionato».
Lagerfeld muove i primi passi da Pierre Balmain, poi passa a Jean Patou, nel 1963 è da Chloè, poi da Fendi, fino ad approdare da Chanel che all’epoca, a dodici anni dalla morte della mitica Cocò avvenuta nel 1971, non navigava in ottime acque. Lagerfeld rilancia il marchio. Da una parte mantiene, rivisitandoli, i codici classici della maison come i tessuti bouclée, il tailleur bordato di passamanerie, la camelia. Dall’altra disegna per silhouette più moderne e sceglie come muse ispiratrici donne sofisticate come Inès de la Fressange o Vanessa Paradis, ma anche modelle burrose come una giovanissima Claudia Schiffer.

Karl Lagerfedl con Lily Rose Melody Depp, foto La Presse

LE SUE SFILATE diventano veri e propri eventi che si svolgono sotto la cupola di vetro del Grand Palais e alle quali siedono in prima fila le giornaliste più potenti, come Anna Wintour direttrice di Vogue America, ma anche le clienti più fedeli e solvibili, spesso asiatiche, le quali, nonostante non siano sempre delle silfidi, fanno a gara a indossare, come un simbolo del proprio status, costosissimi Chanel d’alta moda anche sovrapposti uno all’altro, in un sincretismo dal gusto non esattamente sobrio. Lui, Kaiser Karl, compariva alla fine della sfilata, non alto e quasi etero, racchiuso nella divisa che si era dato da anni come a definirsi icona di se stesso: immacolati capelli bianchi legati in un lungo codino, colli di camicia inamidati e altissimi, mezzi guanti, anelli, medaglioni, occhiali scuri, il tutto esaltato da un’ impressionante magrezza che aveva tenacemente inseguito, perdendo 42 chili, per poter indossare le smilze giacche di Hedi Slimane, stilista che nel 1999 aveva lanciato Dior Homme. La sua vita privata e sentimentale è stata marcata da due grandi amori: il bellissimo e autodistruttivo Jacques de Bascher, la gatta Choupette.

DE BASCHER, morto nel 1989 a 38 anni, era un eccentrico all’ennesima potenza che visse nel lusso e fra gli stravizi senza mai lavorare un solo giorno, iniziò la storia d’amore con Lagerfeld nel 1971 e, due anni dopo, intrecciò contemporaneamente una sfrenata passione con Saint-Laurent. A Marie Ottavi, autrice di Jacques de Bascher, dandy de l’ombre (Editions Séguier), Lagerfeld disse: «Non potevamo essere più diversi. Io sono calvinista verso me stesso e totalmente indulgente verso gli altri. Sono un puritano totale, ma trovavo le avventure di Jacques divertenti». Sebbene Kaiser Karl abbia dichiarato che la sua relazione con Jacques fosse platonica e non fecero mai sesso, la passione fisica che de Bascher condivise con Saint-Laurent trasformò il dandy in una vera e propria ascia di guerra fra i due stilisti. Quando Jacques morì, Lagerfeld lo sostituì con la gatta di cui disse: «Lei ha la sua piccola fortuna. Se mi succede qualcosa diventerà un’ereditiera».

ANCHE con il fisco francese Lagerfeld ha avuto un certo contenzioso. Forse pensava troppo al lavoro, o all’amore, fatto sta che per quindici anni si dimentica di versare il dovuto e nel 1989 lo Stato gli chiede di mettersi in regola pagando gli arretrati, ovvero sedici milioni di euro. Ne darà la metà e c’è chi sospetta che lo sconto sia stato il risultato di una trattativa fra l’avvocato di Lagerfeld e l’allora ministro delle finanze, Dominique Strauss-kahn. Sul denaro Kaiser Karl ha avuto nel 2017 un battibecco anche con Meryl Streep. L’attrice avrebbe dovuto indossare alla cerimonia degli Oscar un abito Chanel, ma a un certo punto tutto saltò. Lagerfeld spiegò la cosa così: «Dopo averle offerto un abito da 100 mila euro abbiamo scoperto che in più avremmo dovuto pagare perché lo indossasse. Si offrono loro gli abiti, si realizzano per loro gli abiti, ma non le si paga. Meryl Streep è un’attrice geniale, ma anche un po’ tirchia». La Streep smentì seccamente le parole dello stilista.

IL GUSTO per la provocazione, o l’andare contro le convenzioni, Lagerfeld lo ha mostrato anche disegnando una collezione per H&M, marchio della moda ultra economica, e aderendo ad alcune campagne pubblicitarie per, fra le altre, Coca Cola e Volswagen. Ma la più sorprendente, nel senso che da uno come lui non te lo saresti mai aspettato, è stata quella contro gli incidenti stradali nella quale lo stilista indossa un gilet giallo e dice: «È giallo, è uno straccetto, non sta bene con niente, ma può salvarvi la vita». Avesse previsto che cosa sarebbe poi diventato il gilet jaune in Francia, forse quello spot non l’avrebbe girato, o forse sì. In ogni caso, è troppo tardi per chiederglielo.