La mia vita con gli alberi di Karine Marsilly si serve con efficacia del racconto autobiografico di un saper fare che, oltre la maestria del mestiere, finisce per riverberarsi in una complessiva visione del mondo. Un modo di operare che si fa orizzonte di pensiero, filosofia di vita, dove quei saperi e quelle pratiche s’incarnano tra predilezioni, scelte di vita, incontri più o meno fortuiti e fortunati (Einaudi, pp 171, € 18,50, con illustrazioni di Anna Regge).

Con un calco linguistico abbinato a un’espressione che genericamente rinvia all’arrampicarsi sugli alberi, il sottotitolo recita Come si diventa un’arborista tree-climber, tentando di definire un ambito d’intervento sospeso. Tra il paradosso che spesso vede la cura degli alberi affidata a potature e abbattimenti e la particolarità di un intervento da presso, che si fa quasi intimo in ragione di quell’arrampicarvisi per via di corde e moschetti.

Tutto si tiene nella vicenda di Karine, dalla strada per la scuola attraverso la foresta all’apprendistato della vita in città, dove conosce gli alberi per nome e capisce la loro importanza nel contesto urbano. Con le esperienze nei progetti di conservazione ecologica, l’insegnamento, l’impegno con associazioni civiche, conferenze, passeggiate esplorative, il salvataggio di un’antica sequoia gigante della California, lo spettacolo per il Festival nel parco di Vallon de la Dollée, con musicisti su piattaforme tra gli alberi.

Essere meticolosi fino all’etica di una cura-potatura, al servizio del benessere della pianta, rifiutandosi di abbattere un albero senza un motivo valido e, nel caso, senza mutilarlo, rispettando anzi e valorizzandone la personalità, presuppone una sensibilità aumentata dalla capacità di guardare i paesaggi dall’in su, dalla gioia dell’arrampicare, da un legame con loro, anche olfattivo. E sostenuta dalla scelta controcorrente di utilizzare, al posto della motosega, il taglio a mano di una chirurgica sega giapponese che trancia senza scalfitture nel silenzio concentrato, attento, ricettivo a ogni sensazione, a ogni scricchiolio degli alberi.

Ancora, sempre alberi, con il loro universo di animali, uccelli, funghi. Alberi che raramente sfuggono all’esser considerati prodotti di consumo. Alberi che, quando malati, sono in realtà perlopiù maltrattati, disturbati nella loro architettura, nel loro habitus. E che vanno invece lasciati crescere, magari protetti e riconosciuti nei loro diritti.