Carburanti è un dizionario un po’ sui generis, tra teoria e letteratura, in cui si presentano proto-narrazioni, narrazioni e contro-narrazioni di elementi storicamente vitali nella vita dell’uomo – di ieri, oggi e domani – come «Acqua» e «Aria», ma anche di termini come «Graal» e «Pietra Filosofale». Abbiamo incontrato l’autrice, Karen Pinkus, professoressa alla Cornell University, per farle alcune domande su questo lavoro.

Cominciamo dalla struttura. Può dirci qualcosa dei criteri di selezione delle voci che ha raccolto e di come le ha «redatte»?
Ho incluso carburanti veri (petrolio, metano, anidride carbonica, vento, sole, acqua) e carburanti mitologici (il vello d’oro), falsi, narrativi, legati a film di fantascienza. Ma anche quelli proposti a Henry Ford da imprenditori americani e quelli sognati da geni o idioti con tendenze futuristiche. Tutti presentati in ordine alfabetico e senza nessuna gerarchia per quanto riguarda – per esempio – la fattibilità o l’intensità carbonica. Qui bisogna riconoscere il lavoro dei traduttori, Riccardo Donati e Caterina Ragghianti. Non hanno fatto una semplice, fedele traduzione dall’inglese ma mi hanno aiutato a concepire il flusso da una voce ad un’altra per la versione italiana. È stato in tutto e per tutto un lavoro a sei mani!

Il nucleo centrale del suo discorso sembra essere la distinzione tra carburanti ed energia. Quali sono i vantaggi che si possono avere promuovendo una visione del genere sul piano del dibattito pubblico contemporaneo?
È una distinzione assolutamente necessaria: sia per demistificare le idee diffuse sui fossili attraverso varie compagne pubblicitarie e strategie corporative; sia per aiutarci ad affrontare con chiarezza le considerevoli sfide per decarbonizzare.

Nell’introduzione scrive che «quando i carburanti del futuro, “puliti”, green diventeranno il “presente” sarà già stato troppo tardi per il cambiamento climatico». Questa prospettiva sembra plasmare un po’ tutte le narrazioni delle voci. Allora mi chiedo: abbiamo davvero di fronte un futuro anteriore? Non ci sono azioni possibili in grado di avere un impatto politico?
Certamente, bisogna promuovere la transizione verso i carburanti rinnovabili e le tecnologie di decarbonizzazione. Facciamo tutto il possibile, compreso il fare attivismo. Insisto, però, su un contegno rigoroso e critico verso «il futuro». Per prima cosa, manca troppo poco tempo per effettuare questa famosa «transizione» e gli ostacoli sono immani. Il futuro serve anche ad un perpetuo rimandare. Invocarlo permette di evitare cambiamenti radicali. Poi, le emissioni di oggi rimarranno nell’atmosfera per migliaia di anni e continueranno il surriscaldamento del pianeta dopo di «noi.» E quindi, bisogna ammettere che noi – umani dell’Antropocene ma con una genetica relativamente stabile che ci lega all’homo erectus, noi i colpevoli eredi della rivoluzione industriale, o noi gente con buone intenzioni ma limitati dalle strutture e infrastrutture del capitalismo, o come lo si vuole indicare – possiamo fare poco.
Questo dizionario serve anche per smantellare il mito di scelte consumeristiche di «carburanti buoni» e ci spinge a confrontarsi con la vasta scala del problema – o meglio, dei problemi – in termini temporali e spaziali.

Via J. Verne proponi il motto «mobilis in mobili» per sottolineare la potenzialità della letteratura nel trattare il tema dell’uso umano delle risorse naturali oggi. Com’è considerata questa prospettiva negli studi in ambito «Antropocene»?
Di tutti gli autori che tratto e da cui traggo carburanti per il dizionario, Verne è il più importante. Scrive nel momento dell’avvento del carbone fossile o del capitale fossile – per dirlo con lo storico Andreas Malm – , anche se lo fa dalla Francia e non dall’Inghilterra, dove l’estrazione si intensifica ai massimi livelli. Verne esprime un certo tecno-ottimismo, i suoi protagonisti sono spesso gli ingegneri capaci di risolvere qualsiasi problema. «Mobilis in mobili» è scritto sul veicolo sottomarino del Capitano Nemo, ma può poi anche risultare uno slogan ambiguo. Ritengo che la letteratura o meglio la narrativa sia fondamentale, non per i motivi spesso citati da «eco-critici» – motivi didattici, valori di rispetto verso la natura, oppure anche nell’illustrazioni di futuri distopici da evitare – ma piuttosto in quanto la letteratura ci ispira a confrontarci con il nodo, magari non scioglibile, di narrazioni, carburanti, sistemi di energia e modi di vivere che diamo per scontato. Sono questioni su cui posiamo i nostri presupposti più basici, quelli che sì, ci permettono di vivere quotidianamente, permettendoci di farlo nella speranza che gli ingegneri ci salveranno. In fondo, io non sono «anti-scienza» – bisogna, ahimè, precisarlo. Il dizionario, sottraendo i carburanti a certe narrazioni e poi ricontestualizzandoli, vuole decostruire una facile fede nella «mobilità».

Un dizionario con una serie di voci tra scienza, filosofia e letteratura che stanno alla base dell’energia, a cominciare dalla «A» di Acqua: ecco un estratto da «Carburanti» (Traduzione di Riccardo Donati e Caterina Ragghianti)
Il sogno: un giorno l’acqua – scomposta nelle sue componenti ultime attraverso l’elettricità – sostituirà il carbone fossile come forma di carburante pulita, pura, libera. Nell’Isola misteriosa, l’ingegnere Cyrus Smith spiega ai suoi compagni americani (abolizionisti… un marinaio, un giornalista, un ragazzo, pupillo di quest’ultimo, uno schiavo liberato e un cane – gli ultimi due devoti al loro padrone): «Sì, amici, credo che un giorno l’acqua sarà usata come combustibile, che l’idrogeno e l’ossigeno di cui è composta, utilizzati isolatamente o simultaneamente, forniranno una fonte di calore e di luce inesauribile e di un’intensità superiore a quella del carbon fossile. Un giorno i depositi dei piroscafi e i tender delle locomotive invece che di carbone saranno carichi di quei due gas compressi, che bruceranno nelle caldaie sprigionando una enorme potenza calorifera. Sono quindi convinto che quando i giacimenti di carbon fossile saranno esauriti, si riscalderà e ci si riscalderà con l’acqua. L’acqua è il carbone del futuro.»

Purtroppo, la curiosità della lettrice, o del lettore, resta inappagata: la conversazione è interrotta dall’abbaiare del cane e dall’intervento di uno scimmiesco servitore, né viene ripresa in seguito.
Un liquido come l’acqua può essere immagazzinato, venduto e inserito in un sistema energetico in quantità calcolate, ma scorrerà sempre in modo piuttosto passivo, per cui le singole dosi finiranno per mischiarsi tra loro. Ora in un motore, indipendentemente dalle condizioni esterne, e solo con piccole variazioni, il greggio leggero a basso tenore di zolfo avrà sempre la stessa resa. Dunque, il tragitto di un veicolo non sarà minimamente influenzato dal fatto che, poniamo, l’auto viaggi a destra, che vada a quaranta chilometri all’ora o che il conducente tenga il piede sull’acceleratore, o ancora che la macchina proceda grazie ai sensori di movimento mentre l’essere umano a bordo invia messaggini a un altro essere umano che ne attende l’arrivo davanti al centro commerciale.

Acqua = purezza = speranza
Questa è la fantasia. Ma, per ora, l’energia idroelettrica funziona bloccando una corrente d’acqua (in una diga, diciamo) per poi convertire l’energia potenziale in energia cinetica quando il flusso viene aperto. Quell’energia cinetica viene quindi trasferita in una turbina, collegata all’asta di un generatore, la quale è ruotata in modo da produrre elettricità. Le strutture attrezzate per la produzione di energia idroelettrica possono essere tutt’altro che neutrali da un punto di vista dei costi sociali ed energetici. Per adesso.

Gli uomini della colonia di Lincoln Island, ne L’isola misteriosa, creano un ascensore idraulico che li trasporti nelle loro abitazioni dopo che le scimmie hanno sabotato il sistema di scale che avevano costruito. E come accade in molte illustrazioni dei libri di Verne, l’ascensore è raffigurato come un marchingegno moderno, industriale, con giunture saldate e non messe alla bell’e meglio – ciò che ci aspetteremmo date le limitate risorse a disposizione dei coloni [che è il termine adoperato da Verne per i protagonisti del romanzo: non colonialisti, ma fondatori di una colonia, un accampamento, una comunità]. Al ragazzino che legge questa storia viene insomma chiesto un piccolo atto di fede per tenere insieme immagini tecnologiche e una narrazione che va invece in direzione completamente diversa. È questo il lavoro richiesto a chi legge, immaginando che questi sia poi perlomeno ricompensato da una lettura particolarmente piacevole. Nel caso dell’ascensore, l’acqua funge dunque da carburante, ma un tipo di carburante che di fatto è quasi del tutto obliterato dalla sofisticatezza della macchina. È proprio nello scarto esistente tra le situazioni pericolose riscontrabili nella parte del libro che si rifà al modello della robinsonnade e gli accurati dettagli delle immagini di corredo, che vediamo far capolino un certo tipo di intenzione didattica, altrimenti tenuta nascosta nella prosa d’avventura.

Nel film Oblivion, del 2013, Jack Harper (Tom Cruise) sogna la vecchia New York, città da lui mai conosciuta. È il 2077, come ci informa la sua stessa voce narrante. Per un motivo non meglio specificato, una razza di alieni saprofagi (Scavengers) ha distrutto la Luna (perché? Forse per l’ elio-3? Però se il motivo fosse quello si può immaginare che non l’avrebbero distrutta…), causando un esteso cambiamento geologico sulla Terra. Gli esseri umani, spiega Jack, sono stati costretti a usare le bombe atomiche. Adesso gli alieni se ne sono andati, ma intanto l’umanità ha lasciato il pianeta, prima per una colonia spaziale chiamata Tet, poi per Titano, una Luna di Saturno terraformata.

Se venissimo messi a parte in modo organico della logica del film disporremmo di tutte queste notizie senza doverci sorbire l’annacquata, sciento-alogica lezione di storia impartita da Cruise – il quale come noto nella realtà è un acceso sostenitore della «religione» di Dianetics.

Saremmo in grado, cioè, di entrare nella storia anche senza la visione di ampi panorami dominati dalle rovine di celebri paesaggi. Il film tuttavia sceglie una scorciatoia narrativa, anche per non farci perdere tempo, dato che il grosso del film dovrà essere dedicato alle scene d’azione tra Cruise (il quale, incomprensibilmente, durante le sue uscite quotidiane nel devastato pianeta d’origine veste una tuta da pilota potenziata) e quelli che supponiamo siano droni controllati dagli Scavengers. Per di più, Oblivion si aspetta che tutto questo ci piaccia.

Destra e sinistra. Urbano e rurale. Adulti e bambini. Il film non vuol correre il rischio di sembrare di parte. Anche se vediamo un campo e una porta di football americano, e sebbene Cruise si lasci andare ai ricordi rammentando il quarterback e il wide receiver dell’ultimo Superbowl (2017), non c’è traccia di alcuna squadra o città specifiche: cose che potrebbero – non sia mai! – alienare le simpatie dei tifosi di un team avversario.

Jack Harper (in verità un clone convinto di essere un uomo che ha subito la cancellazione della memoria) è stato abbinato a una donna, lei pure un clone, ma forse un po’ più consapevole di lui, o comunque meno ribelle e di certo più robotica, vestita ogni giorno (e senza un motivo apparente) con eleganti abiti da top manager pur avendo soltanto il compito di occuparsi delle comunicazioni stando seduta davanti a uno schermo e a un pannello di controllo. La donna, Vicka («Siamo una squadra efficiente», ripetono entrambi al loro capo, interpretato da Melissa Leo, la quale si rivelerà un ologramma olografico), se ne sta dietro le quinte nell’appartamentino da scapolo spaziale di Jack, mentre lui, giorno dopo giorno, esce all’esterno per proteggere le «idro-trivelle», enormi container galleggianti che ricordano il brutalismo sovietico. Queste idro-trivelle estraggono acqua marina, almeno in apparenza per sottoporla a fusione e ottenere carburante per la colonia umana su Titano. Viene da chiedersi: l’acqua è trasportata per via aerea sul satellite e subisce il trattamento sul posto? O è già energia quella che viene trasferita su Titano, correndo lungo una qualche enorme griglia che attraversa il sistema solare? E perché trasportare l’acqua marina fin là? Se abbiamo sviluppato una tecnologia abbastanza avanzata da consentirci il trasferimento di energia su Titano, beh… sicuramente avremo trovato anche l’acqua e/o una fonte energetica lassù, no? E perché è così indispensabile che ci sia «una squadra efficiente»? Che ci fa lì Vicka, dato che evidentemente Jack non prova attrazione sessuale nei suoi confronti?…

Dettagli, dettagli. Non li conosceremo mai e poi tanto si dà per scontato che li dimenticheremo – chissà, magari una cancellazione della memoria a intervalli regolari farebbe comodo a tutti. Lasciamo perdere la rivelazione che alla fine non c’è nessun insediamento su Titano e che l’acqua in verità viene rubata dalla stessa Tet, e non curiamoci del fatto che non saremo mai in grado di stabilire perché, o come, il vascello alieno necessiti di acqua («è una risorsa»). Nessuna di queste questioni conta davvero, alla fine, perché, dopo che uno dei cloni di Jack fa saltare per aria Tet (col plutonio), c’è un taglio nel montaggio che ci catapulta davanti a una casetta sulle rive di un lago, un’abitazione alimentata da piccole turbine a vento (ma a vederle si direbbero semmai campane a vento) e pannelli solari conservati da Jack. Qui, la sua vera moglie (umana) fa giardinaggio e si occupa di un lattante: gli altri umani sulla Terra hanno trovato lei e con loro… Jack… beh, non lo stesso Jack che ha fatto a pezzi gli alieni: un lungo primo piano del numero stampato sulla sua tuta da pilota fa, su questo – almeno su questo! – chiarezza totale. Ma dopotutto, in qualche modo, anche questo Jack deve avere anche lui un po’ del Jack originale… E così la vita umana ricomincia… sulle rive d’un laghetto.