Guidati da Riccardo Laganà, al tamburello e alla voce, i Kalàscima sono i protagonisti dell’ultima ondata del rinascimento del folk salentino, che si muove finalmente in una dimensione planetaria, contemporanea e non da cartolina. Nel loro nuovo disco, Psychedelic Trance Tarantella (Ponderosa), troviamo anche un ospite d’eccezione, Ludovico Einaudi.

Riccardo, ci racconti il significato del titolo del cd? 

Psychedelic Trance Tarantella è una nuova visione della pizzica tradizionale. Scrivere nuova musica popolare, oggi, significa cercare strade, ancora inesplorate, per trovare una luce nuova per le nostre radici. La tradizione la conosciamo, è li, nei libri, negli archivi, nelle registrazioni. Oggi c’è bisogno di dare alla musica tradizionale salentina la possibilità di confrontarsi con quello che c’è fuori, lasciarla libera di annusare, cercare, incontrarsi e fondersi con tutto ciò che le può dare nuova linfa vitale, come è successo per tante altre musiche tradizionali di altrettanti popoli del mondo. Il nostro nuovo album propone trance e psichedelia in forma di folk (salentino) e non vuole certo rileggere, sia pure in chiave elettronica ed elettroacustica, per l’ennesima volta il folklore meridionale con il solo intento di compiacersi.

Cosa fa della tradizione, nel vostro disco, un fatto contemporaneo? 

Quello che noi facciamo ci viene naturale. Viviamo negli anni 2000, abbiamo stimoli diversi dai nostri nonni ma quello che facciamo è esattamente quello che facevano loro. Raccoglievano le informazioni e i materiali che avevano a disposizione e cantavano le gioie e i dolori della loro quotidianità. Per noi è lo stesso, la differenza è che abbiamo a disposizione altro materiale, altri stimoli, altri «attrezzi da lavoro». Oltre alle pelli e alle cornici dei tamburi, alle zampogne e all’organetto, abbiamo la tecnologia, i sintetizzatori ed i filtri elettronici.

Che linguaggi del repertorio popolare avete usato nel disco? 

I linguaggi sono quelli che abbiamo avuto il privilegio di apprendere dagli anziani cantori che abbiamo incontrato, conosciuto, vissuto e con i quali abbiamo suonato e cantato per tanto tempo, dai Cantori dei Menamenamò ad Uccio Aloisi. Gli stili del canto, il modo di suonare un tamburo, la circolarità della musica stessa, la gioia o il dolore col quale si racconta una storia d’amore o di ribellione sono alla base di ogni brano che nasce in Kasa Kalàscima. E ovviamente cantiamo in dialetto, perché conservare l’identità, essere tanto più ancorati alle radici quanto più lontano si cerca di proiettare la nostra musica tradizionale, è la cosa più importante da fare.

Come è nata e si è sviluppata la collaborazione con Ludovico Einaudi? 

Come spesso succede, chiedevo al Maestro, suono nel suo ensemble dal 2012, qualche consiglio su come mettere in pratica alcune idee che avevamo in mente su come dare nuova linfa vitale alla musica tradizionale salentina. Lui aveva realizzato due concertoni a Melpignano in cui, a mio modo di vedere, era riuscito, meglio di chiunque altro, ad entrare nella tradizione e darle nuova luce. Così abbiamo sparato nell’impianto del tour bus alcuni dei demo che avevo con me ad un volume veramente esagerato. E a lui sono piaciuti. In particolare c’era un brano che era vicino allo stile musicale di Ludovico, quasi esclusivamente strumentale, molto emozionale ed intenso. È un viaggio. E ha voluto impreziosirlo con il suo pianoforte. Il nome l’abbiamo scelto insieme, cercando di visualizzare le immagini che quel viaggio ci suggeriva, ed è nato Due Mari, lo Ionio e l’Adriatico, Finis Terrae, il Salento ed il Capo di Leuca.