Alla presenza dei rappresentanti di cinquanta paesi e di 24 organizzazioni internazionali, è cominciata ieri a Londra la conferenza sull’Afghanistan, il dodicesimo incontro del genere dalla conferenza internazionale di Bonn del 2001. Il nuovo governo presieduto da Ashraf Ghani punta a convincere gli stranieri che vale la pena spendere ancora dei soldi in Afghanistan.
I diplomatici stranieri mirano a dare un sostegno simbolico, senza fornire cifre precise. I piani sono già ampiamente saltati. A Londra la comunità internazionale avrebbe dovuto verificare il rispetto da parte del governo afghano del Mutual Accountability Framework stipulato nel luglio 2012 a Tokyo, quando ci si è impegnati per 16 miliardi di dollari fino al 2016, a condizione di passi evidenti nella lotta alla corruzione, nell’affermazione dello stato di diritto e dei diritti umani.
Ma il governo afghano ancora non c’è (vedi articolo accanto), e l’incontro di verifica si è trasformato in una passarella di buone intenzioni, rassicurazioni, pacche sulla spalle.
Ieri hanno tenuto banco i rappresentanti della società civile afghana, che hanno chiesto un sostegno prolungato da parte della comunità internazionale. Lo sanno assai bene, che con il ritiro delle truppe straniere i rubinetti dell’aiuto allo sviluppo vengono gradualmente chiusi. La missione Isaf della Nato si conclude ufficialmente a fine dicembre, sostituita da «Resolut Support», ma i donatori già hanno tirato i remi in barca.

Per convincerli, il neopresidente Ashraf Ghani ha preparato uno dei suoi paper («Realizing Self-Reliance – Commitments to Reform and Renewed Partnership»), 19 pagine fitte fitte di ambiziosi piani di riforme strutturali, soprattutto in ambito economico, che rendano il paese progressivamente meno dipendente dagli stranieri.
Per ora, le cose non vanno bene. La crescita degli anni passati – una media del 9% annuo – è una bolla di sapone, perché nasconde la dipendenza dai donatori.
Secondo quanto riporta Christine Roehrs sul sito dell’Afghanistan Analysts Network, lo stesso Ghani a Londra riconoscerà che la crescita stimata quest’anno è scesa all’1.5%. In più, i dati dell’ultimo rapporto inviato al Congresso americano dallo Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction (Sigar) rivelano che lo Stato anziché aumentare, diminuisce le proprie entrate (- 3.8% rispetto al 2013). Ghani ha lavorato a lungo alla Banca mondiale, dove si è occupato dei piani di aggiustamento strutturale per i paesi del “Sud del mondo”. Si presenta a Londra come l’uomo giusto per rilanciare l’economia locale. Ma la dipendenza dell’Afghanistan è strutturale: nel 2011-2012 è risultato il terzo paese al mondo più dipendente dai donatori, dopo le isole Salomone e di Tuvalu. È il paese che più ha ricevuto in assistenza allo sviluppo dal 2007, riporta Lydia Poole nella ricerca «Afghanistan Beyond 2014. Aid and the Transformation Decade», realizzata per Global Humanitarian Assistance. Gli aiuti allo sviluppo sono cresciuti da 1.1 miliardi nel 2002 a 6.2 miliardi nel 2012.

Complessivamente, dal 2002 al 2012 l’Afghanistan ha ricevuto 50.7 miliardi di dollari in assistenza allo sviluppo, inclusi 6.7 miliardi in assistenza umanitaria.
Possono sembrare tanti. Sono niente, se confrontati alle spese sostenute dalla comunità internazionale per gli eserciti stranieri e, in misura minore, per il sostegno alle forze di sicurezza afghane: 130 miliardi di dollari solo nel 2012, anno in cui gli aiuti allo sviluppo ammontavano a 6.7 miliardi (inclusi 492 milioni per l’assistenza umanitaria e 323 milioni per il peacekeeping).