L’Europa scottata dal Brexit è ormai timorosa di diventare “ostaggio di elezioni, partiti politici o visioni miopi di politica interna”. E’ la frase a dir poco infelice pronunciata ieri dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, nella presentazione del Libro Bianco destinato a servire da base di discussione per una Ue a 27 (senza Gran Bretagna), che sarà sul tavolo del vertice del 25 marzo, per i 60 anni del Trattato di Roma. Il gruppo S&D si è detto molto perplesso e ha invitato ieri Juncker, che ha già annunciato che non si ripresenterà nel 2019 e che potrebbe addirittura dimettersi prima, a “lottare” per un’Europa “più forte, unita e progressista”. Ma Juncker è ormai intrappolato nella realpolitik. Il Libro Bianco sposa di fatto il progetto dell’Europa a più velocità, evocato chiaramente di recente da Angela Merkel e ieri approvato da Germania e Francia con un comunicato congiunto (paradossalmente era una richiesta di David Cameron, per evitare il referendum sul Brexit).

In 29 pagine, Juncker propone cinque ipotesi (una sesta – la disintegrazione – è evidentemente scartata). Altre due restano improbabili: ridurre la Ue a un semplice mercato unico oppure, all’opposto, andare verso il federalismo, il sogno dell’origine ormai sotterrato. Restano tre strade percorribili: 1) restare allo statu quo, evitando di affrontare i conflitti in corso, a cominciare da quello sulla spartizione del “fardello” dei migranti; 2) andare verso un’Europa a più velocità, senza precisare da quale base partire, se dai 6 fondatori (più la Spagna) oppure dalla zona euro; 3) l’ipotesi “more or less”, con la Commissione disposta a tirarsi indietro in alcuni campi, come le leggi sociali, quelle sulla salute, gli aiuti statali, in cambio di un vero potere su politiche comuni più forti, a cominciare dall’Europa della difesa, con un esercito europeo, sul controllo delle frontiere esterne, sulla gestione dei migranti (con un’Agenzia per l’asilo), sull’anti-terrorismo e sul commercio internazionale. La Commissione propende per una combinazione dei punti 2 e 3, insistendo in particolare sulla difesa. L’analisi è che la Nato resterà, ma l’Europa “non puo’ essere ingenua”, perché nel mondo pericoloso di oggi “essere un soft power non è più sufficiente”. Di fronte alla disillusione crescente, Juncker esclude di fatto la possibilità di creare nuove istituzioni (come ad esempio un parlamento della zona euro, proposta in Francia del candidato Benoît Hamon) o di negoziare un nuovo trattato. Juncker, per mostrare di essere pragmatista, ha promesso che nei prossimi mesi verranno definiti cinque progetti: sugli effetti della mondializzazione, sulla difesa, sull’avvenire finanziario, sull’Unione economica e monetaria e anche sulle questioni sociali (in questo ultimo caso, pero’, le ambizioni sono molto limitate, non è stata delineata nessuna vera prospettiva di Europa sociale). Juncker pensa che la Brexit sia ormai solo più “un problema di esperti”, che dovranno stabilirne le modalità. Lunedi’ prossimo si avranno alcuni elementi in più, al mini-vertice convocato da Hollande a Versailles, tra Francia, Germania, Spagna e Italia. “Non si tratta di definire a quattro cosa deve essere l’Europa – ha precisato l’Eliseo – non è la nostra concezione, ma siamo i quattro paesi più importanti e ci tocca dire cosa vogliamo fare con gli altri, assieme”. L’ipotesi di un’Europa a più velocità rappresenta una minaccia per i paesi dell’Est, che temono di essere relegati in un cerchio di serie B, anche se in questo periodo hanno mandato segnali molto negativi sulla loro reale volontà di partecipare alla solidarietà nella Ue (dal rispetto delle regole democratiche alla questione dei migranti).