Sarà il coro di reazioni negative in Italia, a cui da il la proprio Paolo Gentiloni, oppure sarà il tonfo di piazza Affari con immediato scatto dello spread, fatto sta che a sera Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, capisce di aver fatto un passo falso e rettifica: «Qualunque sarà l’esito elettorale sono fiducioso che avremo un governo che assicurerà che l’Italia rimanga un attore centrale in Europa e nella definizione del suo futuro». Non precisamente una prosa fluida, anzi piuttosto imbarazzata, comunque con un passo indietro secco rispetto alle sirene d’allarme fatte risuonare in precedenza.

LA FRASE INCRIMINATA Jucnker la aveva pronunciata in mattinata: «Il peggior scenario potrebbe essere nessun governo operativo in Italia. E’ possibile una forte reazione dei mercati nella seconda metà di marzo: ci prepariamo a questo scenario. Non mi faccio illusioni sull’Europa». Apocalittico. Juncker non dimentica che nello stesso giorno delle elezioni italiane, il 4 marzo, un’altra consultazione potrebbe far tremare l’Europa, con scosse anche più violente: il referendum nella Spd sul ritorno alla Grande Coalizione con Angela Merkel. Ma il punto debole resta la penisola: «Sono più preoccupato per le elezioni in Italia che per il referendum nella Spd».

IL PRIMO A REPLICARE, consapevole del guaio in cui il belga aveva cacciato i mercati italiani, era stato proprio Gentiloni: «I governi sono tutti operativi. I governi governano. Non sono d’accordo nel vedere queste elezioni come un salto nel buio. Non ho paura del baratro». A seguire un coro di repliche, articolate su registri diversi ma concordi nel bocciare l’allarme rosso di Bruxelles. Dal forzista Brunetta che si finge tranquillo perché «lo scenario che abbiamo davanti è un governo di centrodestra assolutamente operativo» all’M5S Castaldo, pronto a scommettere che invece sarà il Movimento ad assicurare il governo stabile cui anela il belga, sino a Loredana De Petris, di LeU, che accusa invece Bruxelles di voler condizionare il voto italiano.

E’ PROBABILE che proprio questa fosse l’intenzione del presidente della Commissione, tradito però dalla propria stessa goffaggine sino a ottenere un risultato controproducente e a dover quindi ingranare la retromarcia. La doppietta messa in scena da lui stesso e il giorno prima da Napolitano è trasparente: sia il sovrano che il belga battono infatti sulla assoluta necessità di avere pronto, subito dopo il voto, un governo «operativo», che potrà probabilmente essere solo quel «governo del presidente» con Gentiloni alla guida che è al centro delle riflessioni sul Colle e probabilmente anche a Bruxelles. Altrettanto eloquente l’ennesimo riposizionamento di Berlusconi che, dopo essersi avvicinato alla Lega nei giorni segnati dall’effetto Macerata, si sposta ora di nuovo sul versante moderato, al punto da mettere molto seriamente in forse la partecipazione a una manifestazione unitaria conclusiva della campagna elettorale proprio per timore di passare per «sovranista».

Come al solito è questione di pallottoliere, non di scelte politiche. I conti almeno nei sondaggi e nelle previsioni, dicono che né il centrodestra, né M5S, né l’inconfessata alleanza Pd-Fi sembra in grado di raggiungere quel 50% più uno dei seggi parlamentari per il quale non basterebbe neppure il 40% dei voti effettivi: la soglia intorno alla quale si è sviluppa da settimane una specie di gioco di società mediatico privo di fondamenta reali. Berlusconi ci ha sperato davvero nelle settimane scorse, un po’ ci spera ancora, ma sa che la bussola punta invece in direzione di un governo del presidente e intende farsi trovare pronto a giocare un ruolo centrale in quella partita, senza la zavorra di un immagine vincolata ai «sovranisti».

CERTO NON È ESCLUSO che il governo del presidente debba accontentarsi di essere un governo di minoranza, reso possibile da astensioni e uscite dall’aula. Per questo Gentiloni ci tiene a precisare che ogni governo appunto governa e lo dimostra prorogando i vertici dei servizi segreti. Solo che anche questi calcoli, con un elettorato volatile come quello italiano, sino al 4 marzo sono appena un po’ meno irrealistici di quelli sulla inesistente quota 40%.