«La spirale, come un cerchio all’infinito, è dialettica: nella spirale le cose tornano, ma ad un altro livello: c’è un ritorno nella differenza, non ripetizione nell’identità (per Vico, pensatore audace, la storia del mondo procedeva come una spirale). La spirale regola la dialettica dell’antico a del nuovo; grazie ad essa, non siamo costretti a pensare: tutto è detto, oppure: nulla è stato detto, ma piuttosto nulla è primo e tuttavia tutto è nuovo.»

NON MI VENGONO in mente parole più chiare di queste, scritte da Roland Barthes, per definire la musica di Julius Hemphill, la sua concezione del blues. L’occasione per ritornare su questo gigante del jazz nato nel 1938 a Forth Worth in Texas, la stessa città di Ornette Coleman, e scomparso prematuramente a soli cinquantasette anni ci è fornita dal cofanetto Julius Hemphill (1938 – 1995): The Boyé Multi-National Crusade for Harmony (New Wordl Records) con sette cd di inediti provenienti dagli archivi del musicista selezionati dal suo allievo Marty Ehrlich, che firma anche le pregevoli e istruttive note del libretto. Si tratta di materiale che copre un vasto arco temporale ( 1977-2007) e documenta molte delle sfaccettature del sassofonista a partire dall’interesse per le pratiche multidisciplinari alla base del Black Artists Group di St. Louis, di cui fu presidente, che riuniva musicisti, poeti e artisti visivi. Troviamo a questo proposito la collaborazione con il poeta Curtis K. Lyle che occupa un intero cd e che aveva costituito proprio il suo esordio discografico con l’etichetta autogestita Mbari nel 1972 e lo porterà a lavorare con lo scultore Jeff Schlanger (Chile New York, Black Saint) e il coreografo e danzatore Bill T. Jones (The Last Supper: at Uncle’s Tom Cabin: The Promise Land). Largo spazio anche al sodalizio con il violoncellista Abdul Wadud che lo affianca in una serie di duetti di pura gioia espressiva, che occupano un altro dischetto. Qui l’intesa tra i due è perfetta e la musica raggiunge vertici di felicità melodica, invenzione istantanea e capacità visionaria. Wadud peraltro è presente anche in altre formazioni con i trombettisti Baikida Carrol e Olu Dara, il batterista Alex Cline, il chitarrista Nels Cline (che possiamo ascoltare con la JAH Band di cui esiste solo un raro vinile).

DI GRANDE INTERESSE il concerto registrato nel 1979 a Woodstock con Carrol, Dave Holland e Jack De Johnette a testimonianza del fervore creativo di quella stagione e degli incontri, estemporanei o più longevi tra Hemphill e i maggiori esponenti del jazz. C’è tutta una Storia da scrivere e raccontare in quello che è successo negli Anni Settanta per squarciare il velo di una rimozione che ha oscurato un decennio colpevole di avere osato troppo. Il recente libro di Ralph Gluck Miles Davis. Il Quintetto perduto e altre rivoluzioni (Quodlibet) ha cominciato a dissodare il terreno ma molto rimane da conoscere e interpretare. Julius Hemphill in questo quadro emerge come una figura presente e inserita nei movimenti più importanti del periodo dal BAG alla scena del Loft Jazz di New York ma che mantiene sempre una sua peculiare individualità, una sorta di olimpico rigore artistico dove avanguardia e tradizione si impastano nel creare una estetica della dissonanza e un intrigante camerismo afroamericano. Un altro cd di grande interesse riguarda Hemphill come compositore, arrangiatore e conduttore e ci offre il pezzo per piano solo Peachment e due lunghi brani per ensemble di fiati tra i quali spicca uno strepitoso Ray Anderson alla tuba, dove eccheggiano le partiture per quartetto e settetto di sassofoni che sono il maggior lascito del nostro.

UNA VERA GEMMA è poi Mingus Gold, rilettura per quartetto d’archi dei tre brani del geniale contrabbassista di Nogales Nostalgia in Times Square, Alice’s Wonderland e Better Get Hit in Your Soul, commissionatagli dal Kronos Quartet, qui nell’interpretazione del Dedalus Quartet. Non sono molti i lavori di Hemphill su materiale altrui perché per quella generazione era decisivo creare e suonare musica nuova e il rapporto con la Storia e la Tradizione era inteso in modo aperto ed inclusivo; una presenza che ritorna e nutre il futuro. La spirale del Blues.