Giovedì 20 giugno. È una bella sera a Novara. Stiamo aspettando in una stradina del centro per cena un’artista che abbiamo visto tante volte a teatro. Nella mente un palcoscenico di garofani rosa e lei, Julie Anne Stanzak, danzatrice del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch dal 1986, che mostra sorridente al pubblico una semplice sequenza sulle quattro stagioni. Nelle orecchie l’indimenticabile musichetta, West End Blues di Louis Armstrong and His Hot Five, la vediamo con gli altri danzatori di Pina camminare in fila, il pubblico in sala partecipe con il movimento alla piccola sequenza. Stralci di gioventù. È la camminata di Nelken, uno dei pezzi più amati di Pina Bausch, rinata in mezzo mondo per strada, nei parchi, sul mare con professionisti e amatori per il progetto Join! The NELKEN-Line, lanciato dalla Fondazione Bausch. Un giro sul web per scoprire il tutorial con Julie Anne e capire come partecipare all’avventura.
Stanzak a Novara ha tenuto una conferenza teorica-pratica su un tema che le sta a cuore seguendo da alcuni anni progetti con persone diversamente abili: Dalla fragilità nell’opera di Pina Bausch all’inclusività nelle arti performative. Ad averla invitata con il marito, Hirohiko Soejima, professore di germanistica e storia della danza tedesca all’Università di Tokyo, sono l’Associazione Didee e l’Associazione Oltre Le Quinte. L’ambito è il progetto europeo DEA – Diversità E Arti performative per una società inclusiva del terzo millennio coinvolto nella tappa a Novara della NELKEN-Line il prossimo 22 settembre. Questa domenica, giorno del decennale della morte di Pina, a piedi e su un battello, la camminata approda al mare, a Siracusa, con il Fiorile delle Arti e Culture.

«VIAGGI, VIAGGI... Con Pina sono stati tantissimi, nel mondo e, qui, dentro il cuore», commenta a cena Julie Anne. «Dentro di me ci sono migliaia di mappe, una sterminata geografia di emozioni. Pina faceva rivelare alle persone la propria anima, la potenza di ciò che mi ha lasciato mi sorprende anche nel lavoro sulla disabilità». Su un telefono arrivano clip di persone che studiano i gesti della NELKEN-Line. Si brinda a Pina: «guardo questi ragazzi, entusiasti per un pezzo del 1982, e ancora una volta penso a quanto Pina riuscisse a toccare la sensibilità delle persone. Ci faceva spesso una domanda: fai qualcosa per il pubblico, una piccola cosa che dia gioia. Ripenso a una sera piovosa a Wuppertal, con questa questione e con tutti noi che cominciamo a darci la mano uno con l’altro, sorridendo, fino a formare un grande dragone, qualcosa che poi finirà in uno spettacolo. Con lei la danza era rispondere a domande come questa, prendersi la responsabilità di trovare un gesto per condividere un desiderio, un ricordo di infanzia, saper raccontare l’amore, magari anche solo con una danza delle mani».

OGNUNO ha la propria storia con Pina. Quella di Julie Anne parte nel 1982, con Walzer. «Ero arrivata dall’America, danzavo nell’Het Nationale Ballet di Amsterdam. Pina stava lavorando al Royal Théâtre Carré alla creazione di Walzer per l’Holland Dance Festival. Io conoscevo tutti in quel teatro, così riuscii a stare lì, nascosta, a osservare la creazione. Jan Minarik, Malou Airaudo… Ero affascinata. Capii cosa volevo fare nella vita. Incontrai Pina alla mensa del teatro, le dissi che adoravo il suo lavoro. Con i miei genitori andai poi tre volte a New York, quando lei, nel 1985, era al BAM con quattro suoi spettacoli. Cenai con lei. Mi vide in uno studio prova. All’Het Nationale Ballet danzavo Balanchine, van Manen, Rudi van Danztig. Avevo anche partecipato a Il tavolo verde di Kurt Jooss, in cui Pina aveva danzato tanti anni prima. Arrivai a Wuppertal il gennaio del 1986. Quando fui presa, van Dantzig mi disse: «Bene, ma sei sicura?». Lo ero. La prima creazione a cui partecipai fu in Italia, a Roma: era Viktor. Avevo 27 anni, iniziava la mia storia».

DA ALLORA sono passati 33 anni, una vita con il Tanztheater Wuppertal, un fiume di creazioni, ruoli, viaggi, una compagnia che oggi, a dieci anni dalla scomparsa di Pina, continua a interrogarsi su come portare avanti un’eredità tra le maggiori del teatro e della danza. «Pina, salvo rare eccezioni, era presente a tutti gli spettacoli. Le sue critiche erano incredibili, sapeva più di noi cosa facevamo, il suo sguardo esterno era sconvolgente. Per questo è complicato per noi, i suoi storici danzatori, passare ai giovani il repertorio. Penso all’ultimo spettacolo che abbiamo preparato con lei, Sweet Mambo. Ho pagine di appunti sul mio ruolo, ma continua a mancarmi il suo occhio. Ho sempre paura che qualcosa resti in superficie, che il passaggio ai nuovi danzatori sia troppo dimostrativo. Non è facile. Un giorno rimontavo Viktor e cercavo di spiegare come era nato, l’osservazione delle donne, il mercato, l’Italia… mi ascoltavano in silenzio aspettando i passi. E io tornavo a casa frustrata, cercando dentro di me come tirar fuori il loro potenziale, la loro umanità, quello che Pina faceva con noi. Anche per loro non è semplice, c’è pressione, sono sottoposti a critiche, a un confronto con noi. Si difendono in modo silenzioso, ma queste sono le domande di Pina: se il modo che hai di difenderti è senza parole, cosa fai con il tuo corpo? Pina ha fatto un’analisi dell’uomo fantastica e ha portato tutto questo verso il movimento, la danza. Diceva “fare una diagonale camminando è già danza”. Ma ci vuole rigore, disponibilità, fame per un lavoro così misterioso».

SENZA più Pina, il Tanztheater Wuppertal è impegnato anche in novità come Since she di Dimitris Papaioannou, dall’8 all’11 luglio alla Villette di Parigi, e in arrivo al Politeama di Catanzaro dal 13 al 15 settembre. «Quando ho visto The Great Tamer di Papaioannou, ho capito Since she» spiega Julie. «Dimitris è un artista geniale, un architetto, un pittore. Non lavora sull’introspezione come faceva Pina, eppure è formidabile la grande responsabilità verso l’immagine, verso gli oggetti, che ha preteso da noi. Una pittura vivente che è una sfida di precisione: anche se distante dal territorio in cui solitamente ci muoviamo, non è qualcosa in cui trovare soddisfazione artistica? Credo di sì».