L’ennesimo intervento chirurgico (il quinto in un anno e mezzo) a cui si è sottoposto martedì Juan Carlos di Borbone, capo di stato per volontà di un dittatore, ha avuto il pregio di riaprire un dibattito tabù in Spagna: quello sulla monarchia. Fra quelli che hanno preso di petto la questione, gli organizzatori della manifestazione «Scacco al re», gli stessi che un anno fa organizzarono la polemica «Circonda il Congresso». Una manifestazione che finì con le botte della polizia, le denunce a molti manifestanti (tutte archiviate) e un parlamento che ancora oggi è circondato, sì, ma da transenne permanenti. Simbolo della distanza che lo separa da chi dovrebbe rappresentare.

Lo «scacco al re» è lo scacco al sistema politico nato dopo la «Transizione» con la Costituzione del 1978. Dopo la lunga dittatura che aveva chiuso la breve parentesi (1931-1936) della seconda repubblica spagnola, con la morte di Francisco Franco nel 1975 tornano al potere i Borboni. Nel 1969, per garantire la continuità, il generalissimo aveva nominato come suo successore proprio Juan Carlos, che accettò giurando fedeltà al Movimento franchista. Ma quando il principe assunse il potere, si rese conto per sopravvivere doveva accettare di trasformare la sua monarchia assoluta in una monarchia costituzionale. La sinistra, che non si misurava con il voto dal 1936, accettò la costituzione di compromesso. Dopo l’abilissima mossa del re del 1981, che frenò il colpo di stato che rischiava di far saltare la giovane democrazia spagnola, nessuno si azzarda a mettere in discussione il capo dello stato. I repubblicani dichiarati sono pochi e poco rumorosi, anche perché il partito socialista, che assieme al partito popolare, è il principale beneficiario dello status quo, ha sempre espresso fedeltà alla casa reale.

Ma il re comincia a invecchiare. E anche il precario equilibrio democratico inizia a scricchiolare. Ai naturali acciacchi fisici, si aggiungono quelli dovuti ai suoi comportamenti poco limpidi: l’anca che gli è stata appena ri-operata è la stessa che si ruppe durante la famosa caccia agli elefanti in Botswana dell’anno scorso e che lo costrinse alle prime contrite scuse di un monarca spagnolo. E, anche se non si può dire in pubblico, anche la real testa comincia a non esserci più: durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario dieci giorni fa, il ministro di giustizia ha dovuto discretamente correggere il re che aveva dato due volte la parola alla stessa persona. E poi ci sono gli scandali che colpiscono suo genero: il marito della seconda figlia Cristina, ex campione di pallamano, è da due anni nei guai fino al collo per aver intascato fondi pubblici (probabilmente grazie alla mediazione reale, anche se non si può dire). E poi c’è la storia del «prestito» di un milione 200mila euro di Juan Carlos a Cristina, emerso dall’inchiesta, che solleva la questione sull’origine dei soldi, dato che la dotazione del monarca è di 140mila euro all’anno (più 150mila per le spese di rappresentanza). Anche la famiglia della figlia maggiore non è proprio specchiata: l’anno scorso il nipote dodicenne del re finì in ospedale per essersi sparato a un piede (almeno così si disse) con una pistola che per legge lui non avrebbe neppure potuto toccare. E per la prima volta la monarchia è annoverata dagli spagnoli fra i principali problemi.

Proprio il giorno prima dell’operazione, l’opinionista del diario.es Isaac Rosa si chiedeva cosa sarebbe successo se il re fosse rimasto «inabilitato» o fosse morto dopo l’operazione. «E i repubblicani? Abbiamo preparato qualcosa? Abbiamo fatto le nostre previsioni, abbiamo piani di emergenza come le istituzioni, i partiti e i media? Permettetemi di dubitarne», scriveva. La costituzione prevede che l’erede al trono sia l’unico figlio maschio del re, il principe Filippo – di cui i media magnificano la preparazione. Ma delega a una legge il compito di stabilire che succede nel caso di una inabilitazione o di una reggenza. Una legge che il governo del Pp in questi giorni nega sia urgente approvare. Era già successo: Zapatero voleva intervenire per modificare l’arcaica legge salica di successione al trono, e si era arreso. Il re non si può toccare.

Perché il re è il simbolo di un equilibrio istituzionale che oggi non regge più. Perché se si tocca quella parte della costituzione, i repubblicani potrebbero risvegliarsi. I federalisti potrebbero affacciarsi. I catalani e i baschi potrebbero voler modificare la forma di stato. E oggi più che mai i catalani sono molto decisi, almeno a parole, a prendere a spallate quella Costituzione figlia di un periodo storico ormai chiuso. Venerdì il ParlamentO di Barcellona ha dato tempo fino al 31 dicembre al President Mas di «accordare» con il governo centrale (che non vuole neppure sentirne parlare) le modalità di una consulta di autodeterminazione da tenersi nel 2014. Il tutto mentre i media di Madrid hanno lanciato una campagna mediatica sul nero futuro che toccherebbe alla Catalogna se fosse indipendente. Quasi tutte illazioni giuridiche, dato che la maggior parte dei trattati non contempla questa possibilità, che andrebbe dunque discussa qualora si desse il caso. Ma il cui messaggio intimidatorio era chiaro: il motto franchista «Spagna, una, grande e libera» è ancora attuale. E lo sarà fintanto che al palazzo reale della Zarzuela siederà un erede dei Borbone.