È un testo conciso e pungente, Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica (Add editore, 2023, pp. 200), il nuovo libro di Juan Carlos De Martin, professore ordinario al Politecnico di Torino e co-fondatore del Nexa Center for Internet & Society. Onnipresente, lo smartphone si è imposto prima come gadget alla moda, poi come «oggetto simbolo della nostra era», argomenta De Martin. In poco più di centocinquanta pagine, bibliografia esclusa, l’autore riesce a condurre il lettore in un vero giro del mondo lungo le catene di produzione di questi «piccoli parallelepipedi» di plastica e silicio che hanno penetrato le scuole, l’intimità casalinga o i mezzi di trasporto.

La loro lunga supply chain va dalle miniere di litio del Congo dove viene estratto il litio delle batterie, alle fabbriche cinesi dove i componenti vengono assemblati, fino ai design lab della Silicon Valley dove le specifiche tecniche sono implementate. Nonostante il titolo possa suggerire un approccio indiscriminatamente critico, Contro lo smartphone è un testo profondamente realista, e minuziosamente informato. Niente a che vedere, dunque, con i manuali di self help come Disintossicarti dal tuo cellulare dell’americana Catherine Price, o con le invettive del francese Eric Sadin, autore di una pomposa Critica della ragione artificiale, (2019).

Il saggio di De Martin è interessante per la sua capacità di rimanere centrato sulla sua domanda principale: come gestire, e riequilibrare, la nostra relazione di dipendenza da questa tecnologia. L’autore, ingegnere di formazione e umanista di elezione, invita a riflettere profondamente sulle dinamiche di potere che strutturano l’oggetto smartphone, che si situa al centro del sistema tecnico ed economico del capitalismo moderno.

Una particolarità di questo testo è la scelta compositiva del suo autore di spaziare da un registro all’altro. Dal «proemio» intitolato «Le macchine digitali mi interessano» e ispirato dall’opera del poeta e attivista digitale Philippe Aigrain, si passa ai capitoli centrali così accurati da poter essere adottati per dei corsi universitari, alla conclusione che prende la forma di un manifesto politico «per una tecnologia pienamente sotto il controllo dell’utente possibile». Questa diversità di stili è molto più di un semplice artificio letterario per coinvolgere il lettore. Fornisce chiavi di lettura differenti per accompagnarlo. Dopo aver esplorato l’anatomia dello smartphone attraverso i suoi componenti fondamentali, il libro segue i flussi delle sue materie prime, gli aspetti relativi al suo assemblaggio, alla distribuzione, alla riparazione e allo smaltimento. Questi processi globali finiscono per mettere in gioco la soggettività stessa dei consumatori finali. Non solo il loro corpo, attraverso grandi e piccoli rischi per la salute, ma anche le ricadute sui processi cognitivi umani e infine sulla qualità della nostra informazione.

Chi controlla lo smartphone? Di certo non si può rispondere alla domanda centrale di questo saggio senza gettare luce sui diversi attori sociali coinvolti nella governance di questa tecnologia: i produttori che influenzano le scelte iniziali, e che continuano e esercitare il loro potere di controllo sui sistemi operativi, sugli app store, sulle applicazioni stesse e sui dati personali degli utilizzatori. Ma pur non sottovalutando il peso dei monopoli e degli oligopoli digitali, il libro di De Martin coinvolge in questa governance anche una vasta gamma di attori sociali e istituzionali—e spiega come è possibile ribaltare l’equilibrio dei poteri di cui lo smartphone è epitome. È questo il senso dei «20 punti che potrebbero rendere lo smartphone più rispettoso, più equo e più fedele», che concludono il libro.

In questo testo, De Martin, si colloca in un vivace dialogo con altre opere di autrici e autori che hanno esaminato le complesse dinamiche dell’era digitale. Il primo interlocutore potenziale è il sociologo Jack Qiu, che da decenni studia le catene produttive della Apple e che nel 2016 aveva dato alle stampe Goodbye iSlave (2016). Non stupirebbe se quest’ultimo libro finisse accanto a Contro lo smartphone nelle raccomandazioni online… Un altro confronto interessante emergerebbe dall’opera di Christian Fuchs, ricercatore che ha indagato il legame tra tecnologie e nuova divisione internazionale del lavoro. Senza dimenticare Kate Crawford, autrice del recente Né intelligente, né artificiale. Il lato oscuro dell’IA (Il Mulino, 2022), che offre un’analisi approfondita dei tre fattori produttivi fondamentali degli odierni oggetti «intelligenti»: terra, lavoro e dati. Ciascuno di questi autori, come De Martin, ribalta la retorica dei venditori di gadget, mettendo in evidenza come dietro ai dati e ai contenuti online ci sono corpi umani al lavoro, e risorse naturali sfruttate senza criterio.

Come interpretare, alla luce di quanto detto, il titolo provocatore Contro lo smartphone? Non nel senso di un’avversione acritica. Al contrario, questo saggio invita a una riflessione sulla relazione tra noi utilizzatori e la tecnologia ubiqua. Il significato di quel «contro» indica la di condivisione di una stessa realtà. Come due che si stringono l’uno contro l’altro, lo smartphone e il suo utilizzatore vivono una simbiosi che non ammette rifiuto, ma che allo stesso tempo non rinuncia alla responsabilità di denunciare le disfunzioni e le dinamiche di potere, invitando a una riflessione sul cambiamento di queste ultime.

*Antonio A. Casilli, è professore ordinario di sociologia all’Institut Polytechnique de Paris, e ricercatore associato al Nexa Center for Internet & Society. Fra le sue pubblicazioni, «Schiavi del Clic. Perché Lavoriamo Tutti per il Nuovo Capitalismo?», Feltrinelli 2019.