«Siamo al settimo cielo, ringraziamo il popolo e il premier di Israele per averci portato a casa». Sono state queste le prime parole della spia statunitense Jonathan Pollard ieri all’arrivo, assieme alla moglie Esther, all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Ha baciato la terra appena sceso dalla scaletta dell’aereo. E ha trovato ad accoglierlo, come un eroe, Benyamin Netanyahu che aveva fatto del suo «ritorno» in Israele una bandiera. In realtà Pollard, 66 anni, non è tornato ma arrivato in Israele. La sua casa originaria è negli Stati uniti, il suo paese, dove è nato e vissuto ed è diventato un’analista dell’intelligence della Marina militare prima di trasformarsi negli anni ‘80 in una spia ben pagata dai suoi contatti israeliani.

La sua vicenda ha ispirato film. Su Pollard sono stati scritti libri e fiumi di articoli. Sono state organizzate manifestazioni pubbliche e conferenze. I coloni israeliani gli hanno dedicato un edificio, Beit Yonatan, a Silwan, nella zona occupata di Gerusalemme. Nei trent’anni in cui è rimasto in carcere – era stato condannato all’ergastolo ma nel 2015 l’ex presidente Barack Obama lo ha perdonato contro il parere della Cia, dell’Fbi e di esponenti Repubblicani e Democratici – ha goduto di comprensione e simpatie ovunque, in ragione di quel modo di pensare consolidato in Occidente che ritiene lecite le attività di spionaggio se sono fatte a vantaggio della sicurezza di Israele.

Pollard, un ebreo americano, spiegò durante il processo di aver scelto di diventare una spia per amore di Israele e perché riteneva ingiusto che Washington non fornisse allo Stato ebraico tutte le informazioni a sua disposizione. Negli Usa però è sempre stato considerato un traditore del suo paese che, fatto non secondario, è anche l’alleato più stretto di Israele. Ancora oggi Pollard è l’unico statunitense ad essere stato condannato all’ergastolo per aver passato informazioni classificate a un alleato degli Stati Uniti. Israele si è scusato formalmente con Washington ma ha ammesso con ritardo di aver anche pagato la spia alla quale ha concesso la cittadinanza nel 1995.

L’attività di spionaggio cominciò nel 1984 quando Pollard incontrò Aviem Sella, un veterano delle forze aeree israeliane, al quale rivelò di lavorare per l’intelligence della Marina Usa aggiungendo che i servizi segreti statunitensi non riferivano a Israele – non erano tenuti a farlo – tutte le informazioni in loro possesso sul Medio oriente. Quindi si offrì di lavorare come spia. Tel Aviv colse l’occasione al volo anche se erano coinvolti gli alleati statunitensi che ogni anno contribuiscono con miliardi di dollari alla protezione di Israele. Rafi Eitan, un famoso agente segreto che all’epoca era a capo di Lakam, un’unità di intelligence scientifica, offrì alla nuova spia uno stipendio di 2500 dollari e bonus generosi. Pollard lo ripagò nei mesi successivi passando informazioni, dati, immagini satellitari e tutto quanto c’era di più segreto, causando danni che i responsabili dei servizi statunitensi considerano ancora oggi «incalcolabili».

Scoperto, Pollard fu arrestato il 21 novembre 1985 mentre tentava di entrare nell’ambasciata israeliana che gli chiuse le porte in faccia. La prima moglie Anne, sfuggita all’Fbi, avvertì gli agenti segreti israeliani permettendo loro di lasciare gli Usa e di evitare la cattura. Durante le indagini l’investigatore del Naval Criminal Investigative Service Ronald Olive appurò che Pollard aveva trasmesso informazioni classificate anche al Sud Africa razzista e tentato di venderne altre al Pakistan. La spia in seguito lo riconobbe mentre Netanyahu ripeteva che «Jonathan» aveva lavorato esclusivamente per la sicurezza dello Stato di Israele e meritava di essere perdonato.

Per Pollard l’arrivo in Israele – a conclusione del divieto di lasciare gli Usa per cinque anni – è la realizzazione di un sogno. Vivrà a Gerusalemme e già si parla di un suo futuro in politica, a destra ovviamente. Per ora si limiterà a sostenere Netanyahu che andando ad accoglierlo come un eroe a Tel Aviv ha ottenuto un altro successo d’immagine da spendere nella campagna per le elezioni di fine marzo.