Un «album di famiglia» che racconta un’esperienza comune a milioni di persone ma che altri, che pur camminano ogni giorno al loro fianco sembrano ignorare o fingono di non vedere. A distanza di oltre trent’anni dalla sua prima pubblicazione, John Berger si è soffermato sul significato che aveva avuto per lui l’esperienza condivisa con il fotografo Jean Mohr nel 1975 per Il settimo uomo, il volume riproposto ora da Contrasto con la cura e la traduzione di Maria Nadotti (pp. 248, euro 24,90), con una nota conclusiva del medico di Lampedusa, Pietro Bartolo.

IN QUELL’OCCASIONE, Berger ha parlato non a caso di storie e immagini che evocavano un sentimento famigliare a chi ha vissuto lo sradicamento e la separazione dei propri cari che è l’emigrazione.
Cogliendo il rilievo e il ruolo crescente che i flussi migratori avevano assunto fin da allora nello sviluppo capitalistico, l’intellettuale e artista britannico scomparso all’inizio di quest’anno, aveva scelto infatti di raccontare, in quello che rappresenta un documento anticipatore di molte delle riflessioni attuali, lo sguardo e il cammino dei migranti.

LE CENTO FOTO in bianco e nero, scattate o raccolte in giro per il mondo e le «immagini verbali» (per dirla con lo stesso Berger) che le accompagnano, raccontano così i diversi frammenti dell’esperienza migratoria: «il sogno incessante del ritorno a casa, le lacrime condivise perché si sa che questo sogno non arriverà mai, il coraggio di andarsene, la maratona del viaggio, lo shock dell’arrivo, più tardi il mitico invito a venire a raggiungerlo (biglietto incluso), le morti lontane, le buie notti straniere, l’orgogliosa tenacia della sopravvivenza».

MA SOPRATTUTTO ricordano quanto i migranti abbiano contribuito in modo determinante a fare del mondo che ci circonda ciò che conosciamo oggi, pur continuando a rappresentarne una sorta di lato in ombra. Emblematica di questa condizione la vicenda dell’enorme sistema di tunnel costruiti a trenta e più metri sotto la città di Ginevra nella prima metà degli anni Settanta per consentire il drenaggio dell’acqua piovana e permettere lo sviluppo urbanistico.

Un lavoro monumentale, ricostruito minuziosamente nel libro di Berger e Mohr, che per permettere la crescita della metropoli di sopra ne aveva edificato una nel suo sottosuolo. Un mondo parallelo, popolato di operai italiani, spagnoli e jugoslavi, 100% di lavoratori migranti impegnati nei tunnel, assunti di volta in volta con contratti di 9 mesi e che «quando il contratto scade, ritornano ai loro villaggi bosniaci, andalusi o calabresi e poi fanno nuovamente domanda per avere la possibilità di scavare un altro anno sotto la metropoli internazionale».

SE PERCIÒ OGGI ben più di un operaio su sette nei paesi occidentali è un migrante, l’idea da cui quell’indagine muoveva conserva tutta la sua radicale attualità: «delineare l’esperienza del lavoratore migrante e metterla in relazione a quanto lo circonda – fisicamente e storicamente – vuol dire cogliere in modo più certo la realtà politica del mondo».

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Il settimo uomo” sarà presentato, nell’ambito di un omaggio a John Berger, al festival Libri Come sabato 18 marzo alle ore 20 presso la Sala Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, da Teju Cole, Giovanni De Mauro e Maria Nadotti.