Il bello della musica contemporanea radicale è che può benissimo stare nel territorio jazz (ovviamente free e ultra free) e nel territorio sciaguratamente definito «dotto». Così la scomparsa dei territori delimitati, visti non come campi aperti per il vivere, sperimentare, sovvertire, godere ma come spazi chiusi dove l’oppressione è la sola nota dominante, diventa realtà pulsante. Ormai è storia vera quella di opere musicali in cui le inflessioni delle avanguardie jazz e delle avanguardie «dotte» si confondono, sono un’unica cosa, anzi. Ascoltare Joëlle Léandre in proposito. Questa splendida settantunenne, regina del contrabbasso e di certi vocalizzi dirompenti/straniti, ha cominciato la carriera negli ambienti accademici però votati al contemporaneo. Ha fatto parte del prestigioso Ensemble InterContemporain fondato (e spessissimo diretto) da Pierre Boulez. Poi è andata negli Usa. Ha conosciuto un altro tipo di contemporaneità sonora, quella dei John Cage, Morton Feldman, Earle Brown. Cage le ha dedicato un lavoro diventato celebre: Ryoanji. Nello stesso tempo ha conosciuto l’altra contemporaneità, quella ulteriore, quella che, a conti fatti, in futuro si rivelerà come l’effettiva grande rivoluzione musicale dei secoli ventesimo e ventunesimo (è una scommessa…), cioè quella del jazz e delle forme aperte che ne derivano. Ha conosciuto i grandi improvvisatori come Derek Bailey e i grandi improvvisatori/scrittori come Anthony Braxton. Ha suonato con loro. Ricca di un sapere senza limiti Léandre è tornata in Europa, ha frequentato con un’emozione stupita Giacinto Scelsi, che le ha dedicato Le réveil profond, C’est bien la nuit e Maknongam. Dalla fine degli anni Settanta è una giramondo che fa ascoltare la sua musica con tanti partner e in solo. Il suo ultimo concerto in solo pubblicato su cd Intakt si chiama Zurich Concert. Cinque brani senza titolo. Improvvisazione totale o qualcosa di scritto? Probabile la prima ipotesi. Nel brano numero 1 Léandre aggredisce gli ostinati ed esplora le microvarianti su suoni lunghi oppure le variazioni su linee di intervalli vicinissimi oppure le distanze improvvise verso i sovracuti. Nel numero 2 è più presente il pizzicato. La musica è come un febbrile lavorio sul corpo dello strumento. Léandre è interprete dell’avanguardia, se ne fotte del discredito in cui è caduta questa parola, avanguardia, il suo spirito ribelle non può abbandonare nemmeno per un minuto il desiderio dell’anti-norma, del piglio decostruttivo. Ma nel numero 5 il finale malinconico è un diminuendo voce/strumento che riabbraccia il lirismo come in uno sguardo dolente sulle cose del mondo.