Jobs Act, l’occupazione stagna ma Renzi grida al miracolo
Istat A novembre la stima annuale dei dipendenti è invariata, crollano le partite Iva, boom degli inattivi. Confermato lo squilibrio del mercato del lavoro italiano: i giovani non lavorano, tra gli over 50 è boom di posti di lavoro. Il presidente del Consiglio apprezza la disoccupazione ai minimi da tre anni ma non dice nulla sul record dei contratti precari
Istat A novembre la stima annuale dei dipendenti è invariata, crollano le partite Iva, boom degli inattivi. Confermato lo squilibrio del mercato del lavoro italiano: i giovani non lavorano, tra gli over 50 è boom di posti di lavoro. Il presidente del Consiglio apprezza la disoccupazione ai minimi da tre anni ma non dice nulla sul record dei contratti precari
Abolite la realtà. Sterminate i poveri, saggi gufi. Per Renzi l’Italia ha il segno più e l’occupazione vola. La storia è nota: le «riforme» funzionano, avanti la prossima. Il disco è rotto. «La disoccupazione che continua a scendere è dimostrazione che il Jobs Act funziona. L’Italia che riparte, riparte dal lavoro #lavoltabuona» ha scritto ieri su twitter il presidente del Consiglio commentando i dati Istat sull’occupazione a novembre. «La disoccupazione è ai minimi da tre anni – ha detto il ministro del lavoro Poletti – Auguri sinceri a tutti quelli che hanno avuto un lavoro e a quelli il cui contratto precario è stato trasformato in rapporto di lavoro stabile e un grazie agli imprenditori».
Jobs Act, una narrazione tossica
È una narrazione tossica, contro la quale fortunamente crescono gli anticorpi, insieme alla capacità diffusa di leggere i numeri: la vera ossessione per un governo che li considera uno spauracchio. Manca il coraggio della verità per dire ai cittadini che in Italia l’occupazione è stagnante, c’è una crescita del lavoro a termine e precario, insieme a un balzo di tigre dell’inattività sul mercato del lavoro tra i 15 e i 64 anni. Lì’occupazione creata, Poletti dixit, è il risultato delle trasformazioni dei vecchi contratti. Non è nuova occupazione in settori produttivi.
A novembre, sostiene l’Istat, la disoccupazione cala dall’11,5 al 11,3% (da settembre: -134 mila unità), mentre il tasso di occupazione aumenta solo dello 0,1%. Rispetto al novembre 2014, quando gli incentivi del Jobs Act non c’erano ancora, i dipendenti occupati in maniera permanente oggi sono 141 mila in più e rappresentano la maggior parte dei 247 mila in più registrati ieri dall’Istat. I lavoratori indipendenti, ad esempio le partite Iva, diminuiscono ancora di 41 mila unità sull’anno, anche se registrano un lieve aumento tra ottobre e novembre. I contratti a tempo determinato crescono del 4,5%, quelli a tempo indeterminato dell’1% e nel 2015 sono +70mila.
25 mila euro per assunto
La Uil ha calcolato che ogni nuovo occupato “a tempo indeterminato” – cioè un lavoratore stabilmente precario con il contratto «a tutele crescenti» e senza articolo 18 – è costato al contribuente italiano 25 mila euro. Quando finiranno gli incentivi, e queste persone perderanno il lavoro, i 9 miliardi mobilitati da Renzi saranno stati inutili. Una spesa improduttiva. Agghiacciante.
Come sempre con i dati di quei gufi dell’Istat il diavolo sta nel dettaglio e nel saldo: 106 mila occupati (su 141 mila) sono a termine, prodotti della riforma Poletti che ha sfigurato il contratto a termine, precarizzandolo all’infinito. La stima annuale dei dipendenti resta dunque invariata, scrive l’Istat. La crescita registrata ieri di 40 mila occupati in più si spiega con l’avvicinarsi della fine dell’anno e la scadenza degli incentivi erogati a pioggia dal governo per vellicare l’opportunismo degli imprenditori non per creare nuova occupazione. Nel 2016 la decontribuzione sui nuovi assunti diminuirà al 40% fino a 3.250 euro annui per la durata di due anni.
Intervista a Guglielmo Loy (Uil): «Altro che Jobs Act, il lavoro cresce per la riforma Fornero»
Il saldo della discordia
E veniamo al saldo occupazionale, la voce mai considerata dalle fanfare di governo. Al decrescere della disoccupazione corrisponde la crescita del tasso di inattività: l’Italia è al 36,4% e nel 2015 è rimasto invariato tra i 15 e i 64enni. In un anno sono stati registrati 206 mila occupati in più. Nello stesso periodo ci sono stati 138mila lavoratori che non cercano più un’attività e sono scoraggiati. Un record tutto italiano per un mercato del lavoro drogato dagli incentivi, precario e senza garanzie.
Nel terzo trimestre il tasso di occupazione nel nostro paese si conferma fanalino di coda in Europa e continua a scendere: oggi siamo al 56.4% (-0.3).
Il problema è l’atterraggio
C’è un positivo aumento di 30 mila occupati tra gli under 24, ma un aumento degli inattivi con 37 mila unità in più. Tra i 25 e 49enni in un solo anno l’occupazione è crollata di 98 mila unità. Tra i 25 e i 34 anni: si contano 139 mila disoccupati in meno, ma anche 140 mila inattivi. Il saldo è negativo.
Le serie storiche dell’Istat ci permettono di valutare la struttura del mercato del lavoro italiano nell’ultimo decennio. La conferma è inequivocabile: per il funesto combinato disposto tra la riforma Fornero che ha allungato l’età pensionabile, le leggi sulla precarietà e le riforme Renzi (Jobs Act+riforma Poletti del contratto a termine) l’occupazione tra gli under 35 è calata di 2,3 milioni, mentre gli occupati over 50 sono cresciuti di oltre 2,4 milioni. Tra i 25 e i 34 anni un ecatombe: persi 1,8 milioni di lavoratori in meno in dieci anni e un calo del tasso di occupazione di oltre dieci punti (dal 69,7% al 59,4%).
Se a novembre 2005 risultavano occupate 7,3 milioni di persone under 35 (1.541 milioni tra i 15 e i 24 anni, 5.797 milioni tra i 25 e i 34 anni) dieci anni dopo le persone al lavoro in questa fascia di età erano appena 4.997 milioni (944 mila under 25 e 4.053 milioni tra i 25 e i 34 anni). È cresciuto il tasso di disoccupazione in maniera significativa per gli under 25 (dal 22,5% al 38,1%) ma anche per la fascia di età successiva passando dal 10,3% del novembre 2005 al 17,1% del novembre 2015 (era all’8,2% nel novembre 2007, prima della crisi). Per i lavoratori nella fascia di età più matura (50 anni e più) invece, negli ultimi 10 anni si è registrato un incremento delle persone al lavoro di oltre 2,4 milioni.
Nel 2005 gli ultracinquantenni al lavoro erano appena 5,09 milioni. Dieci anni dopo sono 7,5 milioni. E in questa fascia d’età aumentano i disoccupati (da 185 mila a 508 mila) insieme al tasso di disoccupazione (dal 3,5% al 6,3%).
Questo non è un paese per «giovani». E nemmeno per gli inattivi che non hanno un reddito minimo, né uno straccio di politiche attive e pochissimo contro la povertà per rallentare la caduta e non farli sfracellare all’atterraggio.
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