Al cuore del Jobs Act ci sono le politiche attive del lavoro. Per realizzarle è stata creata l’agenzia nazionale per le politiche del lavoro (Anpal) diretta dal bocconiano Maurizio Del Conte. Uno dei motori di questo nuovo sistema (per l’Italia) è rappresentato da 760 operatori precari di «Italia lavoro» agenzia in house dell’Anpal: oltre 630 contratti di collaborazione e circa 130 contratti a tempo determinato che scadranno tra il 31 dicembre e il 2017. Al cuore del sistema ci sono precari che dovranno aiutare i precari a cercarsi un lavoro. I 760 di Italia lavoro avranno una proroga dei contratti per almeno un trimestre. E così rischiano di andare avanti, di tre mesi in tre mesi, a gestire il proprio e l’altrui precariato. Non solo. Sembra che dovranno ripetere gli esami per una selezione che hanno già fatto nel 2015. Nella fabbrica del precariato di stato, proprio come nella «Buona scuola» con i docenti già abilitati, gli esami non finiscono mai.

Gli operatori dovranno dimostrare di possedere competenze già accertate e poi, magari, avere un’altra proroga trimestrale. Gli operatori sperano che non sia questa la soluzione contenuta nell’accordo sui precari P.A. che il governo ha raggiunto con i confederali il 30 novembre: «Il futuro di 8 mila addetti dei centri per l’impiego e dei 760 di Italia lavoro – scrivono gli operatori a Poletti e Del Conte – sembra dipendere dal referendum di oggi e alla costituzionalizzazione delle politiche attive».

Per rendere operativa l’Anpal deve infatti passare la riforma del titolo V che regola le competenze Stato/regioni anche sull’annoso, e farraginoso, tema del collocamento. Il futuro di questi lavoratori dipende anche dal referendum.