The Classic, il nuovo album di Joan as Policewoman, potrebbe essere nato all’ombra della «Retromania», quell’ossessione per il passato prossimo della cultura pop, teorizzata dal critico musicale inglese Simon Reynolds nel suo libro omonimo.

Potrebbe esserlo, forse senza ossessione, ma con tratti di spensieratezza, se si considera che The Classic, il singolo, è una traccia soul che suona allo stesso tempo fresca e retrò. Una canzone dove Joan si presenta luminosa, supportata da cori a cappella adagiati su un tessuto sonoro a base di beat box e un arrangiamento singolare firmato da Reggie Watts, icona della stand up comedy americana. Sulla stessa linea Holy City, altro singolo estratto dall’album, il cui video cita volutamente i lustrini degli anni Settanta, per guardare poi ai Sessanta, dove Joan in un simil talk show canta seduta accanto a Neil Armstrong, il primo uomo sulla Luna.

Il video conferma la tendenza retromaniac dell’ispirazione, in bilico tra l’easy listening moderno e un sound che attinge alle memorie sonore della Wasser: «Ho ascoltato Al Green e Stevie Wonder ancora prima dei Beatles – spiega – ho sentito quella musica per anni da piccola, innamorandomi di quel suono caldo e avvolgente. Quelle atmosfere col tempo si sono depositate da qualche parte nella mia testa, per poi fare capolino qua e là negli anni, tra il punk e la musica classica: era giunto il momento di lasciargli più spazio». Così è nato The Classic, a tre anni da The deep field e a poca distanza dalla riedizione di Hai paura del buio? degli Afterhours, dove lei canta in Senza finestra. «Negli ultimi tre anni, oltre a cercare un suono molto pulito, mi sono ostinata a lavorare in presa diretta per trasferire nel disco tutta l’energia della sala prove».

 

E aggiunge: «Mi sono concentrata tantissimo sulla voce, facendomi un’idea sempre più precisa di come volevo che suonasse». Joan utilizza volutamente il verbo suonare, perché dopo anni passati a parlare di sé attraverso il violino, ora sente che «la voce comincia davvero a funzionare come uno strumento musicale: quando ho iniziato a cantare ero molto spaventata, ero abituata ad avere il violino o la chitarra come ponte tra le mie emozioni e il pubblico. Tra la voce e me stessa invece non c’erano mediazioni, mi sentivo nuda. Mi ci è voluto molto tempo perché riuscisi a cantare liberamente e a scoprire quale fosse la mia vera voce, fino a dove la potessi portare o dove lei potesse portare me. Witness, uno dei nuovi brani, rappresenta proprio l’avvio di un nuovo capitolo del mio percorso», una dichiarazione d’amore, per il soul. «Davanti a me ora ci sono good vibes e gioia», stato d’animo confermato dallo scoppiettante ritmo in levare di Ask me: «sono felice, ma so che una parte di me sarà sempre un po’ malinconica. Questo lavoro però rappresenta un’occasione in cui mettere in luce ciò che da sempre fa parte di me, come la passione per il soul, così vicina al mio sentire». La canzone d’amore preferita di Joan infatti è non a caso un classico del 1964 come Wild is the wind nella versione di Nina Simone. «Una grande ispirazione che mi accompagna da sempre nello scrivere canzoni, insieme alla sensibilità soul, un genere molto più centrato sui sentimenti rispetto ad altri. In un pezzo soul all’amore succede di tutto: lo si trova, lo si perde, lo si sogna, o ancora si spera di trovarlo, si vive la gioia di essere innamorati. Quello che mi ha toccato profondamente nella vita riguarda l’amore, quello romantico, quello fraterno per gli amici e le sue mille forme».

Come l’amore per la musica che accompagna Joan fin da quando a otto anni si è dedicata al violino, dopo i primi passi alla tastiera del pianoforte: «studiare uno strumento mi ha insegnato molto: dall’aver tenacia nell’esercizio, al miglioramento costante; inoltre suonare in un’orchestra o in una formazione da camera è un’esperienza incredibile, ho capito come ognuno di noi sia fondamentale con il proprio contributo non solo sul palco, ma soprattutto nella vita. Suonando ho anche imparato a relazionarmi meglio: è provato scientificamente che studiando uno strumento fin da piccoli non solo impari a rispettare di più l’altro, ma anche le capacità cognitive si sviluppano di più. Sono convinta che se ognuno suonasse uno strumento avremmo un mondo diverso, ma evidentemente nessuno al Governo la pensa così, visto che stanno tagliando tutti i programmi scolastici legati all’insegnamento della musica negli Stati uniti: in tempo di crisi i fondi si tolgono proprio agli ambiti apparentemente meno importanti, ma fondamentali per vivere meglio insieme».