La Spagna musulmana, all’inizio del secondo millennio, presentava una situazione non poi troppo differente rispetto a quella dell’Europa cristiana. Era certo più ricca sotto il profilo dell’agricoltura e degli scambi, ma amministrativamente era divisa tra i cosiddetti reinos de taifas, territori che si gestivano in un’autonomia di fatto, al pari del ceto feudale europeo.

QUESTA SITUAZIONE consentì l’espansione dei regni cristiani, particolarmente agguerriti e spesso aiutati da cavalieri francesi in cerca di fortuna, in una serie di azioni militari che vanno nel loro complesso sotto il nome di reconquista. Alle azioni militari si accompagnava anche un fervore religioso sconosciuto in passato, che aveva nel pellegrinaggio a Santiago de Compostela il suo baluardo ideologico.
Dinanzi all’avanzata dei cristiani, e nonostante fino a tutto l’XI secolo le alleanze fra cristiani e musulmani di Spagna contro nemici comuni fossero frequenti, anche nel versante arabo-berbero si sviluppò qualcosa di simile allo «spirito di crociata» che sembrava pervadere l’Europa. Oltre le Colonne d’Ercole si era affermato il potere della rigorosa confraternita degli al-Murabitun (da cui «Almoravidi»), «uomini dei ribat», gli austeri abitanti dei conventi-fortezze formatisi lontano, oltre il deserto, sulle rive del Senegal e del Niger e impadronitisi di Marocco e Algeria a scapito delle dinastie che vi si erano affermate nel X secolo.

IL LORO CAPO, Yusuf Ibn Tashfin, obbligò tutti i reyes de taifas a sottomettersi alla sua autorità: chi cercò di resistere, alleandosi con i castigliani, fu inesorabilmente piegato. Tuttavia, non si deve pensare che il misticismo delle confraternite dei ribat avesse soffocato la vita intellettuale: al contrario, come suole accadere nel mondo islamico, il dibattito teologico e giuridico era molto vivo. La biblioteca e le madrase di Córdoba conobbero allora uno sviluppo straordinario, e che costituì la base di uno sviluppo culturale di cui, a partire dal secolo successivo, avrebbe beneficiato lo stesso Occidente.
Tuttavia il potere almoravide andò presto deteriorandosi a causa tanto della riscossa militare dei regni cristiani di Spagna, quanto d’una nuova corrente mistico-teologica sviluppatasi nel Maghreb a partire dal secondo quarto del XII secolo. Gli al-Muwahiddun (detti «Almohadi») i «fedeli dell’unità divina», erano sorti nel pieno del Marocco berbero come movimento politico-religioso a carattere rigoristico guidato dal mahdi Muhammad ibn Tumart.

ALLA SUA MORTE, nel 1130, gli era succeduto Abd al-Mumin, che tra 1130 e 1169 si proclamò califfo, insediò la sua capitale a Marrakesh, spazzò via il potere almoravide dall’Africa. Agli Almohadi è dedicato un interessante libro di Piero Zattoni: Gli Almohadi (1120-1269). Un movimento rivoluzionario islamico medievale (il Mulino, pp. 296, euro 27). Il nuovo califfo Abu Ya’qub Yusuf (1163-1184) vinse le resistenze locali e lanciò un jihad contro il regno di Castiglia.

Il potere almohade fu molto più duro e restrittivo di quello almoravide: furono perseguitati e costretti all’esilio o al confino anche i due più grandi pensatori del tempo, l’ebreo Moshe ben Maimun (Maimonide) e il musulmano Ibn Rush (Averroè). Maimonide finì in Egitto dove sarebbe divenuto nel 1172 capo della locale comunità ebraica e quindi medico del sultano Saladino e dei suoi successori. La fase intollerantistica almohade, tuttavia, terminò presto: la dinastia berbera permise l’impiantarsi in Marocco di culti simili a quelli santorali cristiani, mentre una rinnovata libertà di ricerca dava luogo al fiorire di pensatori come Ibn Tufayl e Averroè.

ANCHE L’ECONOMIA ebbe un forte rilancio sotto la nuova dinastia, attenta allo sviluppo agricolo, realizzato grazie a un massiccio impegno nel miglioramento delle opere d’irrigazione; senza dimenticare i commerci, per i quali si stipularono alleanze con le città italiane del Mediterraneo occidentale anche quest’ultimo un segno della duttilità della dinastia almohade.
La decadenza, infatti, non cominciò in Spagna. L’avanzata cristiana fu resa possibile dalle difficoltà che gli ultimi Almohadi incontravano sull’altra sponda del Mediterraneo, con un Maghreb percorso da rivolte. Nel corso del Duecento la dinastia perse pezzo dopo pezzo il suo regno.

QUESTO IN UN PERIODO in cui, al contrario, le monarchie europee riuscivano quasi ovunque a consolidare i propri poteri a scapito delle aristocrazie feudali. Gli ultimi discendenti dell’emirato trovarono rifugio nelle montagne dell’Atlante, ma nel 1276, alla fine  di un assedio durato sette anni, furono sterminati. Quasi un segno del destino che questa grande dinastia dovesse trovare l’estinzione proprio in quei territori che l’avevano generata.