Jericho Brown si definisce un «love poet» e, in effetti, lo è in misura somma: i suoi versi sono intimamente politici, poiché nascono dall’esigenza di combattere «il male e la normalizzazione del male» con l’amore, soprattutto per ciò che riguarda i diritti dei neri. Afroamericano originario della Louisiana, di identità black-queer-Southern, professore associato di Inglese alla Emory University di Atlanta e direttore del programma di Scrittura creativa, Brown ha pubblicato tre raccolte poetiche: Please (2008), The New Testament (2019) e The Tradition (2019), che ha ricevuto il Premio Pulitzer l’anno successivo.

Proprio quest’ultima silloge è stata tradotta da Antonella Francini per Donzelli (La Tradizione, pp. 96, euro 14, in libreria dal 23 settembre) ed è stata presentata domenica in anteprima a Pordenonelegge con la partecipazione di Elisa Donzelli. Lunedì a Venezia si è svolto un reading poetico con l’autore, introdotto da Rita degli Esposti e Rosaria Ruffini.

La Tradizione, che consta di cinquantadue poesie divise in tre parti e nel cui sottofondo si possono notare le voci di Claudia Rankine, Adrienne Rich e Yusef Komunyakaa, narra senza mezzi termini la «vulnerabilità del corpo dei neri», la difficoltà di superare gli stereotipi razzisti. Nella poesia di Brown – nota Francini nell’intensa postfazione – «ci sono tradizioni da abbandonare e tradizioni da recuperare». Ad esempio, i sonetti di protesta dei poeti dell’Harlem Renaissance o il ricchissimo repertorio del blues, del gospel e del rap («Perdonatemi, non intendo cantare/ Come Tramaine Hawkins, ma, Signore, potessi/ Solo diventare la nota che fa risuonare verso/ Il quinto minuto di The Potter’s House»). Nella silloge figura, peraltro, un nuovo metro: il duplex, «una forma ibrida di sonetto con misure prosodiche che richiamano il novenario, l’endecasillabo e il pentametro giambico». Insomma, la tradizione «è anche il luogo del bene, che riscatta e redime: la bellezza dei fiori e delle piante coltivati da giovani uomini e da donne di colore che, metaforicamente, ricostruiscono quel giardino dell’Eden violato dai bianchi», osserva ancora Francini. Solo così la «poesia è un gesto verso casa».

«La Tradizione» ha come tema cruciale la violenza…
Penso che la violenza sia una parte considerevole della nostra vita e abbia una radice profonda anche nella maniera in cui noi ci esprimiamo. La violenza è legata alla nostra responsabilità linguistica. Nell’inglese americano esiste l’espressione «she got raped», quasi a suggerire la centralità dell’atto in chi lo subisce. Persino la lingua contiene errori di pensiero che raccontano la misura della violenza. In poesia ho intenzione di aprire questa lingua per tornare a chi produce la violenza. Pensiamo alla storia del linciaggio negli Stati Uniti: lo intendiamo come una questione che riguarda principalmente i neri. D’accordo, i neri sono stati linciati, ma da chi? Tutte le persone che stanno attorno alla storia del linciaggio sono, in realtà, bianchi. A me sembra che il linciaggio sia un problema dei bianchi. Ma un aspetto che intendo mettere in rilievo nella Tradizione è presentare, oltre la violenza, il contraltare di essa, l’affettuosità. Per quanto la violenza sia cruda, esiste il suo opposto, la tenerezza. La gioia della vita, nonostante la violenza.

«Amo mia madre. Amo le donne nere», scrive in Alle prime luci dell’alba. Può parlarci delle sue origini familiari?
Sia dalla parte di mio padre che dalla parte di mia madre, la famiglia era costituita da mezzadri che lavoravano nelle terre e dividevano i prodotti. E poi sono emigrati per stanziarsi in territori migliori. Per sfuggire alle brutture del sistema. I miei genitori sono figli di persone che hanno lavorato duramente perché essi credessero in loro stessi: questa è la nostra radice familiare. Desidero ringraziare mia madre per avermi messo al mondo: noi diamo per scontata la maternità, ma non è così. In America non è una questione facile. Ogni volta che una donna sceglie di essere madre, sceglie di cambiare il proprio corpo per tutta la vita, sceglie di modificare la relazione con il proprio corpo.

Le madri prendono su di sé la responsabilità di avere un bambino per l’intero corso dell’esistenza. Quando scegli di avere un figlio, scegli di dare alla luce qualcuno che non conosci, strappato via dal tuo corpo. Rispetto dunque mia madre per aver fatto la scelta di prendermi con sé, la onoro per questo motivo. Anche se la mia vita non è stata rosa e fiori, la ringrazio. Per tornare al discorso del rapporto con le mie origini, non c’è un giorno negli Stati Uniti che non ci sia un rischio per un afroamericano.

Quand’ero adolescente, ogniqualvolta uscissi di casa, mia madre non dimenticava di raccomandarsi: «Stai attento». Come tutte le madri. Ma ciò che aggiunge una madre afroamericana è questo: «Non ti dimenticare che sei nero. Ricordati che devi avere dignità. Hai una storia».

In «Liberazione» è detto: «Non sono un santo / Perché io cerco d’essere un suono». Qual è il suo rapporto con la black music? E, più in generale, quale relazione c’è tra poesia e musica?
Mi commuove pensare che gli afroamericani abbiano prodotto un’arte con un significato profondo per noi, dopo la schiavitù. Non avrei avuto accesso a quello che leggo e scrivo, se non fosse stato per la tradizione blues. Con il blues i miei antenati hanno descritto esattamente il loro pensiero su ciò che ritenevano fosse l’essere umano. Il blues è ironico, e le persone superficiali non sono in grado di costruire ironia. Anche se le mie poesie non sono scritte nella forma tipica del blues, faccio in modo che il tono sia sempre «blueseggiante». Ricercare quel tono mi permette di manipolare il vernacolo e di rendere musicali le mie liriche. Voglio che il lettore abbia dinanzi una lingua capace di uscire fuori dalla pagina, come musica. Questa è l’esperienza che ho provato con i testi di Langston Hughes: sentivo che le sue parole saltavano via dal libro.

Nella poesia eponima, «La Tradizione», è presente un cenno al cambiamento climatico…
Vorrei che la risposta a questa domanda fosse più complessa, ma il fatto è semplice: svolgiamo la nostra vita quotidiana, lavoriamo, vediamo una partita di calcio, rilasciamo un’intervista, scriviamo un saggio, cuciniamo e non ci chiediamo veramente perché l’inverno non sia più rigido come un tempo. Non ci poniamo mai simili domande. Era importante inserire il cambiamento climatico cosicché il problema non andasse dimenticato. Ci sono tanti alberi nel libro perché essi sono costantemente attorno a noi: volevo porre attenzione sulla natura che ormai diamo per scontata. Non ho mai incontrato una persona – donna o uomo – che non avesse il proprio albero. Sicuramente nella vita di tutti noi c’è un albero particolare, che ci ha segnati in una qualche maniera. Pertanto, gli alberi hanno un valore preciso.
E ci mancheranno quando non ci saranno più. Nella poesia menzionata ho cercato di unire le cose, mettendole in stretta connessione. Quando parlo di razzismo, parlo anche di cambiamenti climatici. E penso alle persone che stanno vivendo in piena emergenza. E viceversa, quando tocco il tema della sanità, tiro in ballo il clima: tutto è interconnesso. Non sono questioni che riguardano l’individuo, ma l’intero mondo.

La sua seconda raccolta s’intitola «The New Testament». Quanto conta la tradizione spirituale nella sua poetica?
In The New Testament ho scritto esplicitamente della mia relazione con la spiritualità: sono credente, ma allo stesso tempo mi è difficile abbandonarmi in un Dio nel modo in cui me lo hanno presentato. Così ho provato a riflettere sulla lingua della Bibbia e su quanto essa sia poetica. Dal momento che la Bibbia è stata tradotta, è penetrata nel circolo della poesia. La tradizione è dappertutto, e ritengo che entri nelle nostre vite come poesia, come letteratura. Parlavamo di mia madre poc’anzi: non scrivo una lirica su mia madre senza guardare alla storia delle poesie che trattano di madri. Mi concentro su come posso contribuire a questa storia. The New Testament non sarebbe esistito senza l’opera di Gerard Manley Hopkins.

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(Si ringrazia Antonella Francini per la gentile collaborazione)