Esistono forme dell’espressione in cui il reale e l’immaginario si danno come una cosa sola ed è il caso di Jean Vigo la cui fortuna postuma, perché il regista morì nel ’34 a nemmeno trent’anni, è contenuta in poche bobine, poco meno di tre ore di cinema, e in appena quattro film girati nel suo quinquennio terminale dentro un prolungato stato di grazia (l’occhio dolcemente implacabile, la mano sempre ferma pure nel moto centrifugo) che sembra alludere al furore dionisiaco e dunque a una ispirazione che non conosce tregua né, tanto meno, décalage. Perché Vigo, questo franco-iberico autodidatta e figlio...