«Anche senza presupporre né Dio né salvezza, non manchiamo mai, morti o vivi, di una lingua per salutarci eternamente, immortalmente, l’un l’altro, gli uni gli altri. Un tale saluto, senza salvarci, almeno ci tocca e, toccandoci, suscita quella strana titubanza che coglie colui che attraversa la vita per niente – ma non esattamente in pura perdita».

QUESTO scriveva Jean-Luc Nancy ne La dischiusura (2005), uno dei suoi illuminanti testi (come molti altri meritoriamente importati in Italia dalla casa editrice Cronopio, grazie alla preziosa traduzione di Antonella Moscati) che vanno a comporre il mosaico della «decostruzione», quell’attitudine teoretica che lo aveva legato indissolubilmente ad una tradizione francese particolarmente influente e in un duraturo sodalizio a Philippe Lacoue-Labarthe (con il quale scrive L’assoluto letterario nel 1978 e Il mito nazi nel 1991) e a Jacques Derrida, che gli dedica un cospicuo volume intitolato Toccare, Jean-Luc Nancy (1998).

Già professore di Filosofia all’Università di Strasburgo e membro del Collège international de philosophie, pensatore originale e prolifico, si è spento all’età di 81 anni. Pensare a Jean-Luc Nancy equivale a figurarsi un filosofare vivido e vitale. Piangerne oggi la scomparsa suona ossimorico, una nota che stona, un’immagine che stride ed entra in contrasto feroce con i ricordi di chi, come chi scrive, ha avuto la fortuna di incontrarlo e di conoscerlo. Sapeva, infatti, sempre donarsi senza risparmio, con le lezioni, le conferenze, gli interventi in cui si rifletteva la generosità e la pienezza del suo slancio intellettuale.

Nancy ha lasciato un’impronta profonda in chiunque si sia accostato alla sua filosofia, un pensiero audace che colpiva al cuore in virtù di un’interrogazione incessante e mai sazia, «facendo segno», come amava esprimersi, all’esistenza «singolare plurale» condivisa degli umani come al proprio orizzonte di senso.

JEAN-LUC NANCY ha saputo far respirare il proprio pensiero, sempre con esiti non scontati e a tratti sorprendenti, negli ambiti più vari: dalla filosofia alla politica, dalla teoria letteraria al teatro e all’arte, dalla religione alla lettura dell’attualità – con i recentissimi Un trop humain virus e Mascarons de Macron. Il suo sguardo sapiente si posava sulle cose sempre ispirato da una ricerca ontologica che ne illuminasse le pieghe, le ombre, i non detti, i non visti.

Ne La comunità inoperosa, libro visionario del 1986, riproponeva contro ogni aspettativa e dopo le cocenti delusioni legate al crollo dei comunismi e dei collettivismi l’idea filosofica, anzi di più, la premessa e la promessa democratica dell’«essere-in-comune» come eterotopia di condivisione e convivenza, rispettosa delle forme plurime e incommensurabili dell’umano.

Dieci anni dopo, in Essere singolare plurale (trad. it. Einaudi) tornava, rafforzandola teoreticamente, sulla necessità di una co-ontologia, una filosofia dell’in-comune erede di Kant, Hegel e Heidegger, in grado di ridare valore al «noi» come prospettiva esistenziale e politica. Ma, accanto a queste preoccupazioni e attese nei confronti della comunità e della libertà come missioni infinite della democrazia, per Nancy vi è sempre stata un’acuta attenzione al corpo come s/oggetto filosofico che diventerà il cuore pulsante prima di un testo mirabile come Corpus (1992) e poi de L’intruso (2000), testo/testimonianza in cui rievoca le vicissitudini della sua precaria salute che precedono e seguono il trapianto cardiaco subito nel 1992.

Qui la metafora delle migrazioni, riletta attraverso le categorie di «estraneità» e «intrusione», gli consente di leggere l’intera comunità come corpo politico, fornendo a noi eredi una chiave straordinaria per interpretare l’epocale contraddizione del rifiuto dello «straniero» come incapacità di guardare all’alterità con desiderio e apertura per accogliere quel che può rigenerarci.

A CONIUGARE la corporeità e la comunità sarà, in testi come Sull’amore e Un pensiero finito, proprio l’esperienza amorosa in quanto esperienza fisico-corporea di attraversamento e insieme ontologica d’inter-relazione perché l’amore si nutre del «con» e del «tra».

Quasi come un prolungamento naturale giungerà, nel 2017, Sessistenza (trad. it. il melangolo), libro in cui il rimando reciproco tra sesso ed esistenza mette in campo un’erotica filosofica e, insieme, un’ontologia del desiderio, del piacere e del godere che danno vita ad una filosofia dell’esistenza sessuata. Qui il legame con l’ontologia tattile che percorre tutta la filosofia del corpo di Nancy si fa evidente perché tatto e sesso si mostrano come i percorsi privilegiati per afferrare il senso del nostro stare-al-mondo nella condizione del «con-essere» che segna le vicende esistenziali fondamentali di ciascuno/a. Ecco perché Nancy e la sua filosofia «infinita» restano in vita anche dopo la sua dipartita, infatti come egli ha scritto: «‘La morte’ è che c’è altro (che c’è la morte dell’altro, così come la mia) e, in questo modo, l’infinito in atto per me».