La recente scomparsa del maestro Jean-Luc Godard, il 13 settembre 2022, è stata ampiamente onorata da articoli e ricordi della sua mirabile opera. In questa sede andiamo ad esplorare una sua particolarità che ha reso il suo cinema molto affine al mondo del pop rock, dell’avanguardia sonora, della sperimentazione. Un percorso apparentemente solo parallelo al suo ruolo di regista, in realtà parte integrante della sua visione artistica.
Gli appassionati di rock lo ricordano per l’emozionante e importantissimo occhio sui Rolling Stones, intenti a lavorare a uno dei loro brani più iconici e importanti. Il film si chiamerà come il brano, Sympathy for the Devil (conosciuto anche come One Plus One). Siamo nel caotico e pulsante 1968, e il 20 aprile di quell’anno, Godard volò a Londra per fare un film sul tema dell’aborto. Una volta rilevato che non era un argomento particolarmente sentito, decise di lavorare su qualcosa di nuovo, a patto che avesse come protagonisti Beatles o Rolling Stones. Non era una novità. Antonioni aveva già utilizzato Yardbirds (in Blow Up) e Pink Floyd (in Zabriskie Point), vari gruppi inglesi erano apparsi in pellicole di secondo piano, gli Zombies avevano collaborato con Otto Preminger, gli stessi Beatles erano veterani della filmografia con due film da protagonisti, A Hard Day’s Night e Help!, oltre al discusso e fallimentare Magical Mistery Tour uscito pochi mesi prima. Il quartetto di Liverpool era al lavoro su un altro progetto visivo, molto affascinante, il cartone animato Yellow Submarine e, subissato di proposte cinematografiche di ogni tipo, rifiutò così la proposta di Godard, mentre gli Stones furono ben felici di accettare il nuovo ruolo di attori. «È un film che è stato girato contemporaneamente ai fatti del maggio ’68 a Parigi, un momento in cui mi si rinfacciava di essere andato a lavorare all’estero mentre tutto il popolo francese era in sciopero. Era un momento in cui ero sempre più sperduto. E cercavo di incollare dei pezzi, di trovare altri pezzi, cominciavo a filmare delle cose in modo separato. E visto che in giro c’era della musica, questo poteva offrirmi una buona occasione. In un primo momento dovevamo farlo con i Beatles, poi non si è più fatto e abbiamo chiesto ai Rolling Stones e loro hanno accettato. Era una produzione tutta inglese, io facevo solo il regista, e così sono andate le cose». Godard filma la composizione e registrazione del brano, inizialmente intitolato The Devil Is My Name. Che nasce con un ritmo da ballata blues e si trasforma lentamente nella versione demoniaca che conosciamo. In mezzo immagini di Black Panther e messaggi esplicitamente politici, di impronta marxista, che si alternano alle session di registrazione del brano. Particolare drammatico la figura di Brian Jones, che morirà l’anno successivo, ormai completamente avulso dalla vita del gruppo che segue lucidamente l’evolversi del brano, con Mick Jagger direttore creativo, mentre il chitarrista appare come inutile e mal sopportato comprimario dalle ormai scarse capacità esecutive.

SENZA PACE
Il film ebbe fin da subito vita difficile, con la casa di produzione spiazzata dalla scarsa comprensibilità del prodotto che si attendeva si potesse vendere ai fan degli Stones. Lo stesso gruppo non fu tenero nei confronti di Godard. Jagger dichiarò di non avere idea di che cosa parlasse il film, concludendo con un lapidario giudizio su Godard, definendolo «twat» (la cui traduzione varia da cretino a coglione), Keith Richards, nella sua autobiografia Life, va ancora oltre. «Il film documenta di come un brano folk dalle influenze dylaniane, piuttosto pomposo, si fosse trasformato in un samba rock. Sono felice che abbia ripreso quelle session, ma Godard! Non riuscivo a crederci. Da vedere sembrava un impiegato di banca francese. Dove credeva di andare? Non aveva un piano coerente se non di lasciare la Francia e introdursi nella scena londinese. Il film era un cumulo di stronzate. Fino ad allora Godard aveva firmato opere ben congegnate, quasi hitchcockiane. Era uno di quegli anni in cui qualsiasi cosa poteva prendere quota. Che poi avesse successo era un altro paio di maniche. Perché proprio Jean-Luc Godard doveva interessarsi alla rivoluzione minore di un gruppetto di hippie londinesi, volendone fare qualcos’altro? Qualcuno gli aveva passato sottobanco dell’acido, credo, e lui era piombato nell’enfasi retorica e fasulla di quell’anno».
Il film non ebbe pace nemmeno nella prima al London Film Festival del 1969. I produttori lo avevano ribattezzato, in contrasto con il regista, Sympathy for the Devil e doppiato l’ultima sequenza con la registrazione completa della canzone. In risposta, Godard aggredì il produttore sul palco, invitando il pubblico a chiedere un rimborso.

CONNESSIONI
Il «Cinema per le orecchie» di Godard ha avuto numerose altre connessioni con il pop rock. La cantante (che si definiva «ragazza yé-yé») Chantal Goya interpreta Madeleine, a fianco di Jean-Pierre Léaud, l’Antoine Doinel di vari film di Truffaut, una giovane promessa della musica, in Il maschio e la femmina del 1966, sguardo sulla nuova gioventù francese. In La cinese del 1967, nella colonna sonora Godard inserisce Mao Mao di Claude Channes (che aveva aspettato il regista sotto casa per consegnargli il provino del brano) che mette in musica una serie di frasi di Mao Zedong. Nel surreale Cura la tua destra, del 1987, è protagonista il duo francese dei Les Rita Mitsouko che interpretano se stessi in studio di registrazione e sala prove. Una splendida, algida e conturbante Marianne Faithfull, musa dei Rolling Stones (più in particolare di Mick Jagger), canta una versione a cappella di fronte a un’altrettanto stupenda Anna Karina in Made in Usa del 1966.
È del 1997 la pubblicazione della colonna sonora completa – musica, dialoghi, suoni – da parte della prestigiosa Ecm del film Nouvelle vague, del 1990. «Nel realizzare questo film ho sentito molta musica; musica prodotta da Manfred Eicher (fondatore nel 1969 della Ecm, ndr). Posso ben immaginare come i musicisti siano ispirati e influenzati da questi suoni. E anch’io mi sono immerso in questa musica, e mi sono sentito, nel mio lavoro, come un musicista. Manfred ha iniziato la nostra relazione mandandomi della musica. E ho avuto la sensazione, nel modo in cui produceva il suono, che fossimo più o meno nello stesso paese: lui con i suoni, io con le immagini. E la musica che mi manda è musica che mi porta ad alcune idee nel cinema. In effetti, alcuni dei dischi mi hanno portato a un film chiamato Nouvelle vague e poi ad altri… e ho iniziato a immaginare cose dovute a quel tipo di musica». Nel disco ci sono brani e musiche di Paolo Conte, Patti Smith, Gabriella Ferri e le voci di Alain Delon, Domiziana Giordano, Roland Amstutz, Laurence Côte, Jacques Dacqmine, Christophe Odent, Laurence Guerre, Joseph Lisbona e altri. Da ricordare la compilation omaggio al regista, pubblicata nel 1986, Godard, ça vous chante?, con contribuiti della scena noise/avanguardia da parte di John Zorn e Arto Lindsay. In una coversazione con Wim Wenders del 1992, Godard dichiarò: «Comincio guardando le immagini senza suono. Quindi riproduco il suono senza le immagini. Solo allora li provo insieme, nel modo in cui sono stati registrati. A volte ho la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato in una scena e che forse un suono diverso lo potrà risolvere. Allora magari potrei sostituire un po’ di dialogo con l’abbaiare di un cane. Oppure metto una sonata. Sperimento le cose finché non sono felice».