Il nuovo film di Jean-Luc Godard, Adieu au langage, è stato mostrato in concorso al festival di Cannes, dove ha ricevuto il premio speciale della giuria. In contemporanea usciva a Parigi e una settimana dopo nel resto della Francia. Da quel momento in poi l’attenzione non è scemata e Godard si è dato molto da far, rilasciando come suo solito molte interviste, alla sua maniera, evitando la stampa specializzata, concedendosi volentieri a quella generalista.

È in una di queste interviste, pubblicata martedì scorso dal quotidiano Le Monde che, rispondendo a Philippe Dagen e Frank Nouchi che lo invitavano a commentare la vittoria delle destre in Europa, Godard ha affermato qualcosa che ha suscitato una certa sorpresa: «Speravo che il Front National arrivasse in testa. Penso che Hollande dovrebbe nominare Marine le Pen primo ministro – lo avevo già affermato a France inter ma hanno tagliato il passaggio».

I giornalisti chiedono spiegazioni. Risposta: «Per far sì che le cose si smuovano un poco. Che almeno si faccia finta. È già qualcosa.» In Francia, nessun intellettuale si esprime così. Tutti sono compatti nel dire che il rischio peggiore della democrazia è l’FN. Tra le varie reazioni che queste dichiarazioni hanno suscitato, la più articolata è stata quella di Olvier Séguret che, il giorno dopo, sul quotidiano Libération, ha scritto un «biglietto» in cui difende Godard. Séguret dice che la parola di Godard è vittima dei mezzi di comunicazione moderni, dove il suo pensiero viene banalizzato. E che Godard è un grande artista ma un pessimo politico.

Come è possibile però pensare che Godard, la cui arte consiste precisamente a lavorare sul nesso tra tecnologia, linguaggio e storia, sia al tempo stesso un grande artista e un pessimo comunicatore, ignorante delle trappole della modernità? Leggendo i commenti postati sulla rete, mi sembra che il messaggio di Godard sia stato discusso con più attenzione su internet che sulla stampa dove lo si è rapidamente derubricato, appunto, a provocazione d’artista.

In parte forse lo è, anche se non parlerei semplicemente di provocazione. Quando individua un rischio che ritiene fondamentale, Godard non cerca di eliminarlo o di ignorarlo, ma di appropriarsene e, portandolo alle estreme conseguenze, di rivoluzionarne la natura. È sempre stato il suo approccio. In Adieu au langage, annuncia la vittoria dell’ideologia razzista attraverso la televisione. Il film comincia con un attacco alla tecnica che rima con l’allarme lanciato da Pippo Del Bono ne La Paura. D’altra parte, Godard indica un luogo che definisce poeticamente attraverso l’aperto di Rilke. Questo luogo dell’essere, che non è escludente ma includente, è quello in cui vive un pacifico animale, il cane, che ama l’uomo più di se stesso. Questi due mondi, quello della tecnica e quello dell’aperto, sono opposti. Ma per Godard è proprio attraverso una radicalizzazione del 3D, dunque ancora attraverso la tecnica, che l’aperto diviene accessibile alla percezione umana…

Da anni, Godard ci dice che le immagini non esistono più; ché, appena ne nascono di nuove, sono subito strozzate dal commento. Eppure, nessun cinema più del suo nasce dalla tensione tra parola e immagine. Non per provocazione ma per convinzione. Per Godard il cinema ha quest’ambizione dialettica, o allora manca il suo compito realista. Come diceva recentemente Jean Narboni: in fondo Godard è rimasto maoista, vale a dire fedele alla legge dell’unità dei contrari, che è la legge fondamentale della dialettica materialistica.

Ora, leggendo l’intervista, si capisce bene che Godard non suggerisce di votare Le Pen. Lui stesso ci dice che si è astenuto. Ma è convinto che, da troppo tempo, le classi dirigenti francesi stanno facendo finta di nulla. Senza andare troppo indietro, il «no» ignorato al Trattato costituzionale europeo è stata una ferita profonda. Quella contrarietà è stata affermata da molti elettori di sinistra.
Proprio
Libération, in quell’occasione, spiegò ai propri lettori che, votando no, avevano dimostrato di non capire nulla. Qualche anno dopo, lo stesso giornale ha sostenuto François Hollande che chiedendo il voto si impegnò a rivedere i trattati.

Queste aspettative sono state disattese, frustrate, negate dalle classi dirigenti che avevano il mandato di interpretarle con un disprezzo verso il potere popolare che oggi prende delle dimensioni tali da incrinare, forse definitivamente, il senso della democrazia. Di questo vuoto di rappresentanza non si può imputare l’FN. Godard in fondo chiede soltanto un po’ di rispetto. Dice: muovetevi. O, almeno, abbiate il buon gusto di fare finta.