Non c’è bisogno di essere virologi o esperti vari per capire che la nostra vita è cambiata in modo definitivo a partire dal marzo 2020. A quella data ci sarebbe da aggiungere il 24 febbraio 2022, con l’inizio della terribile guerra mossa dalla Russia all’Ucraina, che ha dato un altro scossone alle nostre esistenze; ma torniamo alla questione Covid-19.

La pandemia, come ben sappiamo, non è finita: dopo due anni stiamo vivendo una paradossale estate in cui tutto fluisce – concerti, festival, spettacoli… – fuori dallo stato di emergenza anche se il contagio è alto. Si parla di «picco estivo», di autunno nuovamente problematico.

Ci è sembrato, quindi, più che opportuno riflettere su quanto accaduto alla musica, e in particolare al jazz italiano, nella recente stagione pandemica attraverso l’esperienza di due personaggi diversi (Roberto Spadoni e Marco Colonna), la produzione discografica di un terzo artista (Ivano Nardi) e un libro nato all’interno del Covid, scritto dal giornalista e critico musicale Gerlando Gatto (ideatore e animatore del sito A proposito di Jazz).

Nessuna risposta univoca, ma grandi mutamenti-spostamenti (nella produzione, comunicazione, creazione artistica, circolazione) che la pandemia ha di fatto generato.

Il virus ha avuto, tra le sue conseguenze non letali, una sorta di straniante effetto artistico, di cambio di prospettiva su cui vale la pena di soffermarsi. Non c’è, invece, spazio (almeno in quest’occasione) per documentare le iniziative di supporto e sostegno per cui si sono battuti l’associazione Midj (Musicisti italiani di jazz) e la Fiji (Federazione il jazz italiano).

TESTIMONI

Roberto Spadoni (1963) è riconosciuta figura di arrangiatore, compositore, leader, chitarrista, docente e scrittore. Oggi insegna presso la Siena Jazz University e in ruolo («Composizione jazz») al conservatorio di Benevento, dove da studente si diplomò nel 2007 e 2012. Indica quali incontri importanti per la sua ricerca sonora, tra gli altri, quelli con Bruno Tommaso, Enrico Pieranunzi, Tomaso Lama, Franco D’Andrea, Amedeo Tommasi e Marcello Piras. Molte le formazioni (M.J. Ùrchestra, R. Spadoni Nine…), gli album (quelli della New Project Jazz Orchestra), i progetti: da Pierino e il lupo a Mingus, Cuernavaca. Un artista di sicuro riferimento per il jazz e la didattica italiana.

Marco Colonna (1978) dal 2015 ha iniziato a essere conosciuto da pubblico e critica: nel 2019 nel referendum di Musica Jazz è risultato terzo, dopo Enrico Rava e D’Andrea. Polistrumentista (privilegia ora il clarinetto basso), compositore, improvvisatore e scrittore, Colonna fa parte degli Eternal Love di Roberto Ottaviano e ha una vasta esperienza nell’ambito del jazz di ricerca e sperimentale, con collaborazioni da Evan Parker a Eugenio Colombo. La sua visione musicale si intreccia a quella eticopolitica e la produzione è frutto del dialogo continuo con altre arti e artisti, con il sociale, con la memoria e l’attualità.

Incrociamo i loro percorsi durante la pandemia.

R.S.: «Con la chiusura forzata in casa non ho mai interrotto l’attività didattica con il conservatorio di Benevento e Siena Jazz, senza saltare praticamente nessuna lezione». M.C.: «Da marzo 2020 (prima eravamo liberi e più confusi) molte cose sono successe».

Per Spadoni la «ragnatela» docenza-professione a distanza-tecnologia-social network ha creato una nuova dimensione lavorativa, produttiva, estetica: «Con l’inizio del lockdown ho passato molto più tempo in casa e ho cercato di impiegarlo al meglio. Ho intuito che tutti sarebbero stati su internet a navigare e che avrei potuto entrare in contatto con una parte dei ‘naviganti’. Fino al marzo 2020 non avevo avuto un mio sito web: mi sono messo all’opera e, con l’appoggio di una persona, ho realizzato quella che considero la ‘casa delle mie attività. Avendo progettato e realizzato il sito, sono in grado di aggiornarlo e trasformarlo autonomamente. È diventato un importantissimo riferimento per le mie attività e progetti. Ho anche rafforzato la mia presenza sui social, imparando a gestire al meglio le pagine artista su Facebook e Instagram, compreso l’aspetto più ‘commerciale’ oltre a diffondere al meglio le nuove iniziative collegate a pubblicazioni e a progetti artistici, didattici e divulgativi. Nel contempo ho inviato una newsletter per raggiungere quante più persone possibili e mantenere contatti, scambi di opinioni e informazioni. Ho inaugurato, inoltre, l’area riservata Jazz Investigation in cui pubblico pagine di analisi e studi legati al jazz. L’iscrizione è gratuita, si accede dalla home page, conta circa cinquecento iscritti».

Colonna ha approfittato della pausa forzata per mettere a fuoco questioni artistiche e produttive: «In linea generale ho rafforzato l’impegno di costruzione e investigazione nell’ambito dell’improvvisazione (non come genere né come attività interna al jazz, ma come metodo indipendente di composizione). Ho cominciato nel primo lockdown a pubblicare quanto scrivevo nelle lunghe giornate di inattività (Attrezzi del mestiere) per poi riflettere su quanto l’improvvisazione fosse un processo dipendente dall’incontro, dalla relazione fisica. Ho registrato La via del respiro, come riflessione sulla mia ripresa post-Covid, in cui affrontavo il senso di difficoltà provato nel respirare e soffiare durante la convalescenza».

Anche per il clarinettista didattica, pubblicazioni e riflessioni si sono rivelate importanti: «Sono stato chiamato ad insegnare a Siena Jazz, a prendere il posto dell’amico Alessandro Giachero, purtroppo scomparso prematuramente. Per cui l’investigazione sulla materia è diventata sistemica, ed ho scritto un testo poi colonna portante di un lavoro più ampio dedicato al linguaggio e alle Città invisibili di Italo Calvino. Libro e musica per nonetto stanno per essere pubblicati (Folderol) sotto il nome di Invisibili città…. Conterrà il mio testo ‘tecnico’ sull’improvvisazione (Sketches), una riflessione sull’improvvisazione poetica di Lorenzo Mari, una su quella fotografica di Luca D’Agostino e una sulla ripresa audio di Tommaso Marletta. Un lavoro che definisce una poetica artistica e che mi spinge – ancora e sempre – a interrogarmi su come l’improvvisazione contenga i semi di un’umanità profonda, alle prese con la costruzione attraverso l’immaginazione».

Il rapporto con altre forme artistiche, del resto, nel periodo pandemico si dimostra particolarmente vitale per Colonna. Proprio nel marzo 2020 pubblica l’album Fili, dedicato all’artista sarda Maria Lai e produce lo spettacolo multimediale (foto di Erika Cuscusa) FILI a Maria Lai. In seguito, ci dice il clarinettista, «insieme ai poeti Alberto Masala e Raul Zurita abbiamo dato alle stampe Città/Ciudades per Modoinfoshop in cui, a sei mani, riflettiamo sui luoghi in cui abitiamo; partecipo con sette partiture grafiche, un testo e l’interpretazione delle partiture con Giulio Tosti all’organo».

Dal canto suo Roberto Spadoni inaugura una sua label, pubblica testi, compone in abbondanza: «Un’altra iniziativa è stata un’etichetta discografica, Sword Records, con cui ho realizzato il cd Mah – di cui ho curato ogni aspetto – dal buon riscontro per recensioni, visibilità e diffusione». Oltre ad occuparsi della traduzione di Reharmonization di Randy Felts, testo della Berklee Press, il chitarrista romano ha scritto musica per tanti organici e progetti diversi, «musica che ha dovuto attendere per poter essere realizzata».

Nelle varie fasi di ripresa dell’attività concertistica entrambi i musicisti hanno finalizzato composizioni e progetti.

M.C.: «Ho pianificato di estendere le riflessioni alla creazione di un gruppo di lavoro. Grazie all’incontro con Mario Cianca e la sua compagna Giulia Cianca c’è stata l’occasione di aprire il progetto Noise of Trouble e trasformarlo in New Ethic Society. Contenitore di esperienze legate alla narrazione (la suite-omaggio a Thomas Sankara, Post Colonial Blues, che è anche un cd), alla trasformazione metodologica di materiali esterni (omaggio a Mingus, a Monk, pronto per essere pubblicato), musica improvvisata (registrazioni, session domestiche, incontri settimanali all’Ibidem, ex 28diVino). Tutto il periodo mi ha visto anche frequentare festival bellissimi (Tampere, Lubjana…) con i gruppi di cui faccio parte, in primis quello di Roberto Ottaviano Eternal Love, e ratificare la collaborazione con Zlatko Kaucic con cui ho suonato nel suo Arkos Quintet insieme a Massimo De Mattia e altri musicisti sloveni».

Non da meno le «concretizzazioni» in recital di Spadoni: «Due concerti sono stati realizzati nel 2020 e ’21 con la Jazzlife Orchestra alla Rocca Malatestiana di Cesena, con ospiti illustri come Dave Weckl, Giovanni Falzone e Max Ionata. Con l’orchestra di Siena Jazz siamo riusciti a realizzarne altrettanti: in uno, ospite il fantastico sassofonista Miguel Zenon. Sono stati importanti segnali per studenti e pubblico: la musica e l’arte non devono fermarsi neanche in tempo di pandemia. Altri progetti vedranno la luce nei prossimi mesi. A Proposito di Henry (Mancini), con Cristiana Polegri e Roberto Spadoni Ensemble sarà pubblicato dall’etichetta del Parco della Musica. Nell’ensemble Maurizio Giammarco, Giovanni Falzone, Stefano Fresi ed Elio. Ho lavorato a un tributo a Parker nel centenario della sua nascita insieme alla New Project Jazz Orchestra: lo presenteremo quest’estate e a settembre registreremo».

UN LIBRO

Esce tre mesi dopo l’inizio del lockdown Il jazz italiano in epoca Covid. Parlano i jazzisti (pp. 218, GG edizioni), che il giornalista e critico musicale Gerlando Gatto pubblica nel giugno 2020. La sua è una delle «voci» jazzistiche più autorevoli: Gatto, attivo dagli anni Sessanta, esperienze dalla radio alla carta stampata, dalla tv al web, dal 2007 cura un blog-newsletter che nel 2017 è diventato testata giornalistica: A proposito di jazz. Ha realizzato, tra l’altro, due volumi di interviste nel 2017 e 2018 e usa la forma-intervista nel nuovo testo per dialogare con 41 jazzisti di varie generazioni (E. Rava, L. Tucci), stili (S. Maltese, R. Ruggieri), strumenti (F. D’Andrea, F. Bosso), sesso (C. Donato, R. Bentivoglio).

Si serve di una griglia di undici domande modificandola quando possibile, a seconda di come l’intervista sia stata raccolta, prevalentemente a distanza. I quesiti-base vanno dalla situazione economica alla mutazione delle relazioni umane e professionali, dai rapporti con istituzioni e organismi di rappresentanza al valore della musica e a cosa ascoltare durante l’isolamento.

Il pianista classico Massimo Giuseppe Bianchi, nella prefazione, specifica che l’autore «ha provato ad andare oltre l’analisi stilistica (…) Gerlando capisce e ama la musica, rispetta i musicisti e da loro è rispettato nonché, come da qui traspare, riconosciuto quale interlocutore credibile (…). Ha voluto, credo, fare quello che un critico non ha tempo o voglia di fare: comunicare direttamente con la persona (…). L’interesse del presente volume, ne sono convinto, non si esaurirà con l’estinzione del pericolo attuale».

Ha ragione il prefattore, perché se a una prima lettura si sente la mancanza di una sintesi ragionata delle risposte, rileggendo Il jazz italiano in epoca Covid si apprezzano la varietà dei pareri e l’apertura delle idee. Ciò restituisce l’effetto traumatico, spiazzante del primo lockdown e fa capire, a distanza, come l’interpretazione del fenomeno e del suo impatto sia ancora «aperta».

Ecco una breve antologia di risposte.

Francesco Cusa: «Ritengo che sarà molto difficile ripartire. Occorrerà approfittare di questo stallo per rivedere la politica dell’organizzazione musicale in Italia, liberarla dai gangli che la congestionano in clan e cordate, per una gestione e selezione più armoniche e meno elitarie. La parola d’ordine è comunque defiscalizzare».

Massimo De Mattia: «Credo che l’arte e la cultura siano il vero capitale, senza il quale oggi saremmo già tutti vittime della disperazione. Abbiamo bisogno di assurgere a un nuovo stato emotivo di speranza e meraviglia, di folgorazione e di sogno (…) Non vedo su quali altre forze contare. A parte l’amore».

Maria Pia De Vito: «Si stanno attivando moltissime catene di solidarietà, ed è una bella cosa. Per chi riesce a mettersi in ‘pausa’ nella pausa, è come un ritiro spirituale, una grande pulizia interna. Ma non ho molte illusioni sulle dinamiche dei ‘poteri’ che ritroveremo all’uscita da tutto questo».

Enzo Favata: «Ho deciso di riorganizzare il mio tempo, dando uno schema rigido alle mie lunghe giornate, suddivise con orari ed impegni precisi (…) 400 ore di registrazione, non voglio lasciarle in un cassetto e le cose più interessanti le sto rimasterizzando e mettendo online, sarà un lavoro che continuerò anche finiti i tempi del coronavirus».

Paolo Fresu: «Seguo con attenzione le istanze del mondo dei lavoratori dello spettacolo che versano in condizioni di estremo disagio. Partecipo a una miriade di tavoli di discussione su questi temi e si sta tentando di mettere assieme tutti e di dialogare perché il nostro mondo è molto vasto ed altrettanto sfilacciato. Dirigo anche le attività della Federazione Nazionale il Jazz Italiano, della quale sono il presidente».

Enrico Intra: «I rapporti tra persone si modificheranno per chi ha memoria del passato. Per chi non ha cura dei beni comuni che ci circondano e attenzione verso il prossimo non cambierà nulla. Lo dico per esperienza. Ho vissuto da bambino quel drammatico periodo della seconda guerra mondiale, la povertà del dopoguerra e certi avvenimenti tragici che hanno segnato la nostra Repubblica qualche decennio dopo».

Nicola Mingo: «Cerco di reagire mantenendo un contatto diretto con il pubblico (…) attraverso i social. Organizzo dirette e video party con miei home concert, invitando i follower e gli appassionati per stare in compagnia e far ascoltare la mia musica. Il vantaggio dei social è che ti (…) consentono la comunicazione diretta con musicisti e appassionati da ogni parte del mondo».

Franco Piana: «Spero che (il Covid, ndr) ci faccia capire quanto è importante dare la precedenza alle persone piuttosto che alle cose, siamo sempre troppo presi da noi stessi e abbiamo poco tempo da dedicare alle persone care o a quelle bisognose».

DUETTI
Febbraio-marzo 2021, il virus morde ancora e il batterista, compositore e performer romano Ivano Nardi vuole rompere l’isolamento e l’autoreclusione. Inventa così un progetto discografico che chiama Uscita di emergenza. Duets for One/Visionary Meeting (Idea Ensemble). Nardi, amico di Max Urbani e da sempre artista indipendente e fuori schema, nel «vuoto pneumatico» della pandemia ha le idee chiare. Il suo è un «long-distance project», basato sulla free improvisation, che vuole «innescare collaborazioni da luoghi distanti e diversi tra loro. Ma mai così vicini nel condividere la voglia irriducibile di resistere per esistere». Il batterista è anche un performer in cui il «gesto» è tutt’uno con la sonorità; in Uscita di emergenza, però, i gesti sono duplici e si concretizzano a distanza. Viene, infatti, eliminata, causa pandemia, la com-presenza dei freemen che generano interplay nella lontananza fisica.
Le note di copertina le scrive Marco Colonna: «Qui, fra questi suoni, risiede una concreta ragione di esistenza per la fragilità, la poesia, il rispetto. Un dono che ci concediamo in questi tempi di separazione: un altro possibile racconto di chi potremmo essere».
Nardi coinvolge 26 musicisti di più generazioni in un progetto che (ha dichiarato su Musica Jazz in una lunga intervista pubblicata nel luglio 2021) «nasce per ribellione, per disperazione, come un’uscita di emergenza, appunto. Molti musicisti hanno subito aderito – e condiviso la mia idea – il mio grido oscurato dall’indifferenza totale e imperdonabile, come fiamme vive che si illuminano». In quei mesi invernali del ’21, si ricordi, non c’era nessuna certezza né prospettiva che la musica dal vivo potesse riprendere. Eccoli, allora, gli esistenti/resistenti: F. Monico, M. Colonna, E. Parrini, B. Gussoni, D. Gallo, M. Sambo, S. Leonardi, M. Boss, P. Sanna, D. Merlino, L. Ianniello, G. Schiaffini, G. Pacorig, A. Massaria, S. Tramontana, R. Ottaviano, M. Magliocchi, E. Ricci, D. Cavallanti, E. Rocco, P. Tombolesi, T. Cattano, I. Legari, V. Petriachi, P. Innarella, A. Olivieri.