In concomitanza con il Salone Internazionale del libro, Torino ha ospitato dal 17 al 21 maggio la prima edizione di Narrazioni Jazz, concerti, seminari, film distribuiti a pioggia tra teatri, parchi e piazze cittadine. Il via con Jass. Ovvero quando il jazz parlava siciliano, di Franco Maresco e Claudio Uzzo, a ricordare l’incisione del primo disco jazz della storia, un 78 giri realizzato nel 1917 da Nick La Rocca, siciliano di seconda generazione nato a New Orleans.
Nel programma, che proponeva tra gli altri Dee Dee Bridgewater, Paolo Fresu, Enrico Rava, Antonio Faraò Trio, Chano Dominguez, Greg Cohen, Eleonora Strino, Jon Gordon e tanti altri, non è mancato un omaggio a Boris Vian.
Il nome Boris fu scelto da sua madre, meloname ispirata dal Boris Godunov di Mussorgsky. Con la sua tromba Vian fu l’«inventore» di Saint-Germain-des-Prés. Qui sulla riva sinistra della Senna, al 33 di rue Dauphine, sorgeva il Tabou, una cantina che divenne il centro propulsore di una vita notturna satura di jazz, poesia, filosofia, Bacco tabacco e Venere. Con Vian c’erano sua moglie Michelle Leglise, Juliette Greco, Anne-Marie Cazalis, Raymond Queneau e di notte in notte tutto il Gotha dell’intellettualità e dello spettacolo, da Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir a Jean Cocteau, Jean Marais, Orson Welles, Maurice Chevalier, Humphrey Bogart e Laureen Bacall, Martine Carol, Anatole Litvak, Paul Eluard, Jacques Prevert per citarne solo alcuni.
Grande appassionato di jazz, Boris Vian aveva rubriche fisse sulle riviste Jazz Hot e Paris Jazz. Fu lui a portare a Parigi per la prima volta Duke Ellington e Miles Davis.
La platea del Piccolo Regio, piena come un uovo, ha assistito e a lungo applaudito Boris Vian il poeta sincopato, spettacolo di jazz, canzoni e poesia ideato da Giulio Vannini. Sul palco le voci di una strepitosa Cristina Zavalloni, ispirata nelle canzoni tratte dall’opera di Vian e in surf perpetuo sull’onda sonora creata da Gianpaolo Casati (tromba), Pietro Tonolo (ance), Furio Di Castri (basso), Paolo Birro (contrabbasso, tastiere e fisarmonica), Enzo Zirilli (batteria). A Paulina Gomis il compito di dar voce ad alcune delle più belle poesie di Boris Vian, La vita è come un dente, Io non vorrei crepare, Distruggono il mondo.
Giulio Vannini come nasce questo «Boris Vian poeta sincopato»?
Lavoro nella musica professionalmente da 15 anni. Da ragazzo ero un grande appassionato di musica, suonavo la tromba, non in maniera professionistica, e in seguito ho avuto la chance di divenire corrispondente di Jazz Hot. È allora che ho conosciuto Boris Vian, e nei suoi libri e nelle sue poesie mi sono rivisto, anch’io ho un problema di cuore, un prolasso alla valvola mitrale.
Hai smesso di suonare la tromba per il problema con il cuore?
No, no, il fatto è che non essendo ricco, e la musica non essendo molto rispettata in Italia, ho dovuto fare altri lavori, vendevo automobili, Maserati, Alfa Romeo, Lancia, ma nel frattempo continuavo a coltivare il jazz. Grazie a Jazz Hot giravo per i festival, ho fatto amicizia con i musicisti, come giornalista, non come critico, perché non credo che nella musica ci sia bisogno di criticare, il giornalista deve raccontare quello che succede.
Quando hai iniziato a collaborare con «Jazz Hot»?
Sarà stato il 1988, ma ai concerti ci andavo da quando avevo 16 anni, la musica mi è sempre stata dentro. Per me fu folgorante la storia di Bud Powell raccontata da Francis Paudras, da cui è stato tratto il film di Bernard Tavernier Round Midnight, protagonista Dexter Gordon. Avevo letto il libro di come Francis Paudras si era preso cura negli anni ’50 di Bud Powell, pianista che risiedeva in Francia e che oltre ad avere problemi con le droghe aveva anche qualche problema mentale. È stato un grandissimo musicista del Be Bop, assieme a Thelonius Monk, anche se Monk era più compositore. Bud Powell era il jazz, assolutamente.
Sono 20 anni che volevo fare una cosa dedicata a Vian. Anni fa incontrai Gian Gilberto Monti, un cantautore di Milano che aveva fatto delle traduzioni delle canzoni di Vian, ma poi non se ne fece nulla. La mia fascinazione con Vian è iniziata nell’88, quando ho iniziato a collaborare con Jazz Hot, lì ho preso a leggere i suoi libri, le sue poesie…Non vorrei crepare mi ha fatto impazzire… io vengo da una generazione, sono nato nel 1960, in cui avevamo ancora degli ideali, mi sono sempre sentito un po’ anarchico, quindi Vian mi affascinava anche per le sue idee e per il suo modo di essere.
Pensi che questo spettacolo avrà delle repliche?
Stiamo cercando un distributore per ripresentarlo durante la stagione teatrale in Italia, ma ci piacerebbe anche andare in Francia. Con Luca Bulgarelli, siamo amici da tempo, abbiamo parlato di Vian tanti anni fa, abbiamo buttato giù dei testi, delle canzoni, che poi abbiamo deciso di non eseguire un po’ per rispetto di Vian, quelle di Vian sono bellissime, e poi perché stiamo pensando a uno spettacolo più teatrale, un monologo in cui Vian parla ma le sue parole sono riferite all’oggi.
LA MUSICA
Pietro Tonolo ha curato quasi tutti gli arrangiamenti musicali e ha contribuito con brani originali scritti su testi di Vian.
Conoscevi la musica di Vian?
Non in maniera approfondita, mi piacciono molto gli scrittori dell’Oulipo (acronimo dal francese Ouvroir de Littérature Potentielle, ovvero «officina di letteratura potenziale» ndr.), Queneau, Perec, e Vian è in qualche modo a loro affiliato. Il concerto inizia con la presentazione che ha scritto Raymond Queneau su Vian… e quindi come accade spesso in questi casi affrontare questo progetto è stato anche un modo per me di approfondire il mio rapporto con Vian e scoprire una figura veramente speciale.
Con il tuo sax suoni normalente jazz?
Diciamo di sì, anche se il termine jazz è un termine molto ampio che confina con tante cose, con la musica contemporanea, con quella classica…suonare jazz oggi può voler dire molte cose diverse.
Stasera abbiamo sentito jazz composto da Vian?
Anche, c’erano sue canzoni, brani suoi, Je bois è fortemente jazzistica, in generale comunque Vian era un buon compositore di jazz e quindi le sue composizioni hanno spesso una forte impronta jazzistica, quella che forse è la meno jazzistica è «Il disertore», una canzone di stile francese, ma gli altri pezzi che abbiamo scelto, la Java de la bomb atomique, Je bois, e Petit commerce sono brani che lui ha scritto sulla scia della sua passione per il jazz.
Una cosa che mi piace di Vian è che è un grande dilettante, nel senso buono del termine, è quasi una figura rinascimentale per certi versi, non ha una idea di iperspecializzazione, in Vian si percepisce molto la sua voglia di divertirsi, suonava, dipingeva, scriveva, poesie, drammi, era traduttore, organizzatore di spettacoli, ha avuto una importanza fondamentale nel portare il jazz in Europa.
Dal punto di vista strettamente tecnico, suonava la tromba in maniera professionale o come un dilettante?
Secondo me come trombettista non era per niente da disprezzare, aveva un linguaggio jazzistico molto efficace, e comunque tutto quello che faceva gli riusciva bene, perché c’era sicuramente una grande passione dietro tutte le cose che faceva.
Hai sempre suonato il sassofono?
No sono partito col pianoforte, poi col violino e intorno ai 14 anni, quando già suonavo da 10 anni, sono passato al sassofono. Ho avuto una carriera connotata inizialmente molto in senso jazzistico, ho suonato con Chet Baker, con Gil Evans…
Conosci Alvin Curran?
So chi è ma non abbiamo mai suonato insieme, collaborava con Steve Lacy, un musicista che ho frequentato molto.
Il gruppo di musicisti di questo spettacolo è un gruppo più o meno stabile?
No è una formazione fatta per l’occasione, ma siamo tutti musicisti che si conoscono e hanno già collaborato in altre occasioni.