Non ci sono solo bimbi emozionati ad aprire le caselline del conto alla rovescia fino a stanotte. Domattina sotto l’albero di Natale anche gli astronomi di tutto il mondo troveranno un regalo. Un gioiellino della tecnologia grande come un campo da tennis che ci sono voluti un quarto di secolo e dieci miliardi di dollari a progettare, costruire, assemblare e preparare per il viaggio. Parliamo del James Webb Space Telescope, il telescopio spaziale che è destinato a sostituire l’Hubble Space Telescope nell’immaginario collettivo come occhio dell’umanità sull’universo e sonda per scandagliare le profondità del tempo. Un oggetto destinato a «modificare radicalmente la nostra comprensione dell’universo», come dicono dalla Nasa, mai parca di iperboli. Anche l’Agenzia spaziale europea e quella canadese partecipano all’impresa. L’intera comunità astronomica è d’accordo: grazie a una tecnologia all’avanguardia questo telescopio spaziale sarà in grado di osservare fenomeni astrofisici rispetto ai quali eravamo finora ciechi, e pertanto di aprire nuovi orizzonti e nuovi interrogativi.

NEGLI ANNI 90 il telescopio Hubble, oltre a regalarci immagini iconiche dell’universo, ci mise nelle condizioni di scoprire che zone dell’universo che consideravamo «vuote» erano piene di migliaia galassie remote; ci ha mostrato come al centro della maggior parte delle galassie, compresa la nostra, c’è un enorme buco nero; è arrivato addirittura a metterci nelle condizioni di osservare pianeti fuori dal nostro sistema solare, che quando venne lanciato non si era neppure sicuri che esistessero. E ci mostrò anche come fosse possibile riparare un telescopio in orbita, un’impresa mai provata prima di allora. Il giorno di Natale nel primo pomeriggio, se tutto va bene (il lancio è stato rimandato varie volte: l’ultima proprio ieri, per maltempo), il Webb inizierà un viaggio di un mese che lo porterà al punto Lagrangiano secondo, un’orbita attorno al sole distante più di un milione e mezzo di chilometri dalla terra che gli permetterà di osservare l’universo proteggendo i sensibili strumenti dal sole, ma rimanendo sempre allineato con la terra.
Diciotto eleganti specchi esagonali ricoperti da un sottilissimo strato d’oro (un millesimo di un capello) sono montati a raggiera per una superficie totale di circa 25 metri quadrati, sei volte quella di Hubble. Per entrare nel razzo Arianne, una parte di questi specchi sono piegati come un origami e dovranno aprirsi una volta nello spazio. Grazie a questa maggiore superficie e alla possibilità di operare lontano dal calore emesso dalla terra e protetto dal sole, il Webb potrà osservare a una frequenza infrarossa che gli permetterà di penetrare fino a più di 13 miliardi di anni fa – «solo» 800 milioni di anni dopo il Big Bang.

NELL’UNIVERSO quanto più lontano si guarda nello spazio, tanto più si guarda lontano nel tempo: a quell’epoca si stavano formando le prime galassie e le prime stelle, su cui sappiamo solo che probabilmente erano molto brillanti e formate solo da idrogeno: all’interno di quelle stelle remote si sono formati gli elementi che costituiscono anche me e te, e tutto quello che ci circonda. Eppure su questi oggetti, e su quella epoca remota, abbiamo ancora pochissime informazioni: il Webb vi getterà luce. Un altro dei grandi obiettivi del nuovo telescopio è osservare le atmosfere dei pianeti attorno ad altre stelle, alla ricerca, come no, di indicatori che potrebbero denunciare la presenza di vita.
Ma l’emozione che riserva questo telescopio non nasconde l’amarezza di chi, come abbiamo raccontato su queste pagine, avrebbe voluto che non portasse il nome di un amministratore della Nasa che alcune persone accusano di omofobia. L’avamposto dell’umanità nello spazio e il gioiello tecnologico più emblematico che la nostra specie abbia costruito forse meritava un nome meno divisivo e più paradigmatico.