È alto, James O’Barr. Alto, ieratico e come posseduto da un’irrequietezza tranquilla e febbrile, che traspare dai liquidi occhi chiari e dai movimenti misurati. Un personaggio diverso, per un romanzo a fumetti, Il corvo, che a partire dalla sua prima edizione in lingua originale a fine anni’80 ha segnato una intera generazione di lettori. La narrazione oggi si rinnova con Il corvo – Memento mori, volume firmato da edizioni BD che ospita 144 pagine a colori di storie ambientate a Roma e dintorni e firmate da autori italiani.

Atmosfere oscure, peccato e violenza, sullo sfondo plumbeo di una grande città: non una novità per O’Barr, che trent’anni or sono, nelle pagine nerissime dell’originale, trovò la sua via di scampo dal lutto per la perdita della compagna Beverly, investita da un ubriaco. E forse, viene da pensare, anche dalla ferita di un abbandono patito da bambino, prima di una provvidenziale adozione.

«A SENTIRE gli psicologi, i tratti distintivi della personalità di un individuo sono già tutti ben delineati fra i 5 e i 7 anni di età», spiega il cinquantottenne fumettista di Detroit. «Quando ti capita un fatto traumatico come la morte della mia fidanzata, il modo in cui reagisci dipende da quello che ti sei portato dietro fin lì come persona; qualcuno avrebbe potuto crollare per la disperazione, io invece ho scelto di trincerarmi dietro la rabbia che provavo. Ma ora che ci penso, nel libro la figura paterna è totalmente assente, a parte Eric; la figura materna è idealizzata; quindi sì, può darsi che la mia storia adottiva abbia avuto un ruolo nella realizzazione del romanzo grafico». 

Se le radici emotive dell’opera affondano nel travaglio personale dell’autore, quelle puramente narrative pescano nell’olimpo della scena fumettistica americana, con il grande Will Eisner come nume tutelare. «In effetti, ho studiato a fondo il lavoro di Eisner. In fatto di economia narrativa, per la capacità di concentrare una gran quantità di eventi in un numero di pagine limitato, Eisner era un maestro, così come nel gestire il ritmo della storia, nello stabilire quando lasciar spazio alle immagini a scapito della parte scritta o nell’uso degli effetti sonori… È un modello che non mi stanco mai di consultare, soprattutto per le storie di The Spirit.

L’altro punto di riferimento irrinunciabile è Berni Wrightson, fondamentale per capire come conferire atmosfera a una scena attraverso le luci e le ombre. Tra l’altro, ho avuto anche la fortuna di conoscerli entrambi e farmeli amici». Fumetti di chiaroscuri, insomma. Che spesso si abbeverano anche alla fonte della cronaca.

«NEGLI ANNI, leggendo i giornali o guardando la tv, mi è capitato spesso di imbattermi in tragedie mai chiarite o mai risolte, fatti che mi suscitavano allo stesso tempo rabbia e tristezza. Così, mi è venuto naturale costruirci sopra dei racconti, usare quelle notizie per costruire storie che in qualche modo provassero a dare un senso a tutto quel dolore. Non tanto per azzardare risposte, ma per tentare di offrire un po’ di speranza a chi ha vissuto eventi tanto traumatici, cosa che in alcuni casi è effettivamente avvenuta, come mi hanno confermato alcuni fra coloro che hanno vissuto i fatti in prima persona. A me era successo lo stesso con la musica dei Joy Division. Potrà sembrare strano, visto quanto erano deprimenti: ma in quel momento, sono state l’accompagnamento ideale per le emozioni che provavo e mi hanno mostrato che non ero il solo a provare determinate sensazioni».

DALLA NATIA DETROIT, O’Barr è passato al Texas, dove vive tuttora. Una scelta particolare, per un autore introspettivo e apparentemente bohémien. O forse anche no. «Il Texas è uno stato grande quanto buona parte dell’Europa, quindi non è solo cowboy, vacche e serpenti a sonagli. Certo, c’è tutto questo laggiù, ma anche molto di più. Personalmente, vivo a Dallas, un po’ la Roma o la Milano del Texas, un luogo che assorbe gran parte dei proventi delle società petrolifere e che quindi ospita musei, una scena musicale piuttosto frizzante… Aggiungo anche che non sono finito a Dallas per scelta, proprio perché anch’io avevo qualche pregiudizio sul Texas e sui texani. C’ero passato andando e trovare una persona, mi aveva incuriosito, così ho pensato di fermarmi per qualche settimana. Da allora sono passati dieci anni. Tutto quello che avevo in gioventù a Detroit, negli ultimi anni l’ho ritrovato a Dallas. Arte, musica, culture come quella asiatica e quella gay… Tutto tranne la delinquenza. D’altro canto, è vero che con la presidenza Trump, gli Usa in generale stanno diventando un Paese in cui fatico a riconoscermi. Ma l’America è più forte di così e sono certo che con il tempo si riprenderà».

Dal Texas all’Italia, dove è nato e dove è appena stata raccolta in volume da Edizioni BD Il corvo – Memento mori, saga collettiva firmata da autori italiani come Roberto Recchioni, Werther Dell’Edera, Vince Cardona, Micol Beltramini, Matteo Scalera e tanti altri.

«DUE ANNI FA, durante uno dei miei molteplici soggiorni in Italia, l’editor Micol Beltramini si è chiesta se ci fosse la possibilità di pensare a un volume de Il corvo su misura per il pubblico del Belpaese. Dato il rapporto tutto speciale che ho con l’Italia, che a partire alla fine degli anni ’90 ho visitato in lungo e in largo, l’idea mi è piaciuta. E avendo i diritti del personaggio, ho accettato subito. Micol di suo ha cominciato a mandarmi idee di sceneggiatura e proposte di ’mani’ per una pubblicazione antologica, e personalmente ci ho aggiunto un racconto di dieci tavole realizzato appositamente ed esclusivamente per questo volume. Per scelta mia non ho voluto metter bocca sulle storie firmate dagli autori italiani, perché penso che qualunque cosa potessero inventarsi non avrebbero potuto alterare o sminuire in alcun modo la storia originale, ma solo arricchire la saga del personaggio con la propria visione».

RESTA SPAZIO solo per qualche battuta sull’ultimo esperimento creativo di O’ Barr, Sundown, un fumetto animato distribuito su iPad. «L’America è un Paese molto giovane. Noi non abbiamo racconti mitologici come, che so, quello di Re Artù o quelli di tanti altri Paesi europei. L’unico mito di cui disponiamo sono proprio i cowboy. Cowboy e indiani. È un mondo che mi ha sempre attratto, e che ho pensato di sfruttare con una storia molto dark e personale, che mi ha impegnato per diversi anni perché tutta colorata a mano, alla vecchia maniera, senza nessun intervento digitale».

E il nuovo film de Il corvo? «Sono sei anni che se ne parla, ma io faccio di tutto per tenermi alla larga. Se vogliono coinvolgermi, bene. Altrimenti, mi consolo con i diritti… L’anno scorso c’eravamo andati vicini con il progetto del regista Corin Hardy e dell’attore Jason Momoa, ma poi la cosa si è sgonfiata per via dei veti incrociati dei produttori. Ora non resta che stare alla finestra e vedere come va. Nel frattempo, non sto certo con le mani in mano”. Dissolvenza in nero, e il giorno diventa notte: cose che capitano, nei fumetti.