Addio a James Chance (71, vero nome James Siegfried nato in Milwaukee, Usa, anche noto come James White), altosassofonista e cantante, uno dei grande ispiratori della no wave newyorkese, genere che alla fine degli anni Settanta ribaltava schemi e suoni tradizionalmente legati al rock’n’roll mettendo in scena un teatro ritmico abrasivo, nichilista, dissonante in cui si fondevano (free) jazz, funk, noise e furia punk. La compilation No New York, prodotta da Brian Eno nel 1978 è un documento fondamentale di quel periodo, con dentro James Chance e i suoi Contortions, i Teenage Jesus and the Jerks di Lydia Lunch (fondati con Chance), i Mars e i D.N.A. di Arto Lindsay. I suoi due dischi del ’79, Buy (a nome Contortions) e Off White (a nome James White & The Blacks) sono classici del genere con il secondo che manda a gambe per aria l’idea di dance/disco e la ristruttura con una ferocia e spigolosità ammalianti. Il risultato è un cocktail micidiale di James Brown, John Coltrane e punk. Nell’album c’è un pezzo spettacolare, Stained Sheets, con Lydia Lunch (con lo pseudonimo Stella Rico) alla voce: una vertigine morbosa senza fine.

L’ESORDIO
Con James Chance – che aveva esordito a New York nel ’76 con i Flaming Youth, un quartetto strumentale, che in origine voleva fare jazz ma che sapeva di essere cresciuto con il rock (Stooges e Velvet Underground su tutto) – nasce e si edifica l’idea di punk funk a cui faranno da sponda in Gran Bretagna, il Pop Group, i Gang Of Four e a salire tantissimi altri nomi. E tanto per capire quello che succedeva a New York al tempo: se i Talking Heads parlavano di «più canzoni su cibo e palazzi» (dal titolo dell’album More Songs about Buildings and Food), James Chance avvertiva: «Non mi sopporto», che era poi la I Can’t Stand Myself di James Brown che il sassofonista rileggeva e decostruiva in No New York tra bassi galoppanti, strappi lancinanti di chitarra, urla e sax impazzito. Del resto tra free jazz e energia punk, generi tanto distanti tra loro, solo un funk così spiazzante poteva trasformarsi nel collante perfetto, e soprattutto servivano artisti visionari. Anche perché nel ’78, a New York, la disco music ripugnava sia al mondo punk che agli avanguardisti jazz, quindi ci voleva gente appunto come Chance o Lydia Lunch (vivranno insieme e suoneranno insieme agli inizi), che veniva da fuori; era necessario, cioè, uno straniamento che solo chi non era nato a New York possedeva. Locali, poi, come il Kitchen, tempio no wave, e il nascente circuito loft jazz, ossia appartamenti privati trasformati in club in cui si suonava jazz d’avanguardia, daranno una grande mano ai new waver anche se per Chance non ci sarà sempre spazio per via del suo estremismo sonoro.

UNICO
Il suo ruolo nella diffusione del funk in ambito punk – un’appropriazione black anche criticata, in realtà vissuta in maniera liberata e ironica (il titolo Off White significa bianco che tende al grigio) – è stato determinante; il combustibile di un boicottaggio artistico nei confronti di mode («nessuna ondata», no wave, appunto) e modi; nei confronti del punk che veniva concettualmente superato perché autoindulgente e teso al recupero nostalgico del passato; nei confronti del rock in genere di cui veniva negata l’integrità artistica, e dunque era possibile frantumarlo e riassemblarlo in maniera differente; James Chance era poi unico all’interno della scena: sapeva suonare e non ne faceva mistero, altri suoi colleghi un po’ meno, da qui l’impiego del rumore («terroristi artistici») in ambito no wave che spesso serviva anche a nascondere un’imperizia musicale confermata dalle stesse band. E forse è anche questo uno dei motivi per cui Brian Eno, per propria ammissione un «non musicista», deciderà di produrre la storica raccolta No New York, disco che pubblicizzerà e ghigliottinerà allo stesso tempo la scena.
Una scena che comunque si spaccherà molto presto, con Chance, Lunch e altri che continueranno ad esprimersi nei locali dell’East Village e Red Transistor, Gynecologists o i Theoretical Girls di Glenn Branca legati, invece, agli spazi espositivi e alle gallerie d’arte di SoHo; un frattura anche politica perché a «quelli dell’East» non andava di essere accomunati a pittori e artisti visivi che definivano «manuali dell’arte»; per Chance o i Dna contava l’attimo fuggente, la consapevolezza di essere perdenti in un mondo perdente; del resto l’assunto dell’artista è sempre stato: «C’è ancora tempo per un ballo prima che l’apocalisse ci spazzi via tutti».

SPACCATURA
Dalla spaccatura si creeranno due sottoscene: da un lato l’hardcore di Unlead e False Prophets, dall’altro lo sperimentalismo di Sonic Youth, Mofungo ecc. Insomma un universo quello di Chance e un fuoco sacro che da Nick Cave (Birthday Party) a John Lurie (Lounge Lizards), da Anton Fier (Feelies, Golden Palominos) a chitarristi come Robert Quine influenzerà tantissimi artisti. E poi era stilosissimo Chance, con i suoi completi scuri o le giacche immacolatamente bianche, i cravattini di pelle e le scarpe a punta; dopo il concerto al Piper di Roma nell’80, in molti gireranno così. Indimenticabile.