Avete mai visto un discografico ebreo, occhialuto e appesantito, dimenarsi a tempo danzando il Mashed Potato, un ballo popolare molto in voga aIla fine degli anni ’50? Capita anche questo (l’impresario è contagiato dalla carica energica del suo assistito) insieme a straordinari numeri musicali, efficaci e potenti come un cazzotto allo stomaco, in Get On Up (in sala in versione originale), il film biografico su un leader assoluto della comunità afroamericana e non solo, James Brown, il cantante e musicista da 70 milioni di dischi venduti, il lavoratore più instancabile dello show business, una sex machine tutta passi, spaccate, piroette, urla belluine ma a tempo con gli stacchetti, le percussioni, le raffiche dei fiati, l’artista più campionato nella storia, in grado di ispirare tutti i divi più celebri d’oggi.

 

 

Il regista Tate Taylor (quello di The Help) ha scelto di mescolare un po’ la scansione del racconto, andando avanti e indietro nel tempo, quindi si affollano il divo osannato ai concerti, il bambino nato a Bamwell, South Carolina, nel 1933 e cresciuto in quel sud aspro e rurale tra riformatorio e abbandoni, il maniaco del controllo che rampognava i suoi musicisti, le ballerine e tutti gli altri addetti alla produzione dello show, il padre di famiglia e instancabile sciupafemmine, insomma un black man con uno smisurato bisogno di superare i propri limiti e ostacoli. Chadwick Boseman (l’attore di 42) impersona alla grande James Brown,riuscendo a incarnare il carisma, l’energia e il genio musicale di Mister Dynamite. Un duro lavoro fatto di interminabili ore di lavoro con i coreografi e i tanti amici (turnisti,coriste, conoscenti) che hanno fatto da consulenti alla produzione per fargli replicare alla perfezione le incredibili movenze del cantante.

 

 

Gran parte della musica del film è quella originale di James Brown, con sequenze imperdibili come alcuni spezzoni dell’esplosivo spettacolo dell’Apollo Theater nel 1962, della straordinaria performance al T.A.M.I. Show nel 1964, dello storico concerto al Boston Garden del 1968 e dell’apoteosi funk tenutasi all’Olympia di Parigi nel 1971. Un po’dappertutto aleggia quella mistica isteria da funzione della chiesa battista (proprio lì il giovane adolescente troverà autostima e forza compiendo i primi passi), quell’ebbrezza sensuale col capo che ciondola, i fianchi che ondeggiano, i piedi che scivolano vertiginosamente, le giravolte col microfono e la voce rauca che ti rincorre, ti colpisce ripetutamente, ti fa battere a mille il cuore («ecco che cos’è il groove», spiegherà a una giovane reporter). Naturalmente alcuni brani indimenticabili come Caldonia, quello che segna il passaggio dal gruppetto gospel all’ingresso nel rhythm and blues (incantevole anche per l’uditorio wasp) o il primissimo disco Please Please Please «un nero che supplica la sua amata» e It’s A Man’s Man’s Man’s World, quella tipica dei tanti finti svenimenti in scena fino al collasso finale dove veniva finalmente coperto e liberato con un mantello nero e si riprendeva a muovere come un ossesso.

 

 

Così dai fasti vertiginosi con Cadillac e aereo personale si torna a James Brown e Bobby Byrd, incontrati da adolescenti a Toccoa, in Georgia, dove Brown era stato sbattuto in carcere. Byrd (interpretato da Nelsan Ellis, stella della serie Hbo True Blood) convinse la propria madre a permettere all’amico galeotto di andare a vivere con loro, presupposto che ha dato vita a una collaborazione musicale di oltre venti anni.
«Bobby Byrd è stato il suo migliore amico e di fatto la persona che ne ha scoperto il talento», afferma Ellis. Byrd faceva il controcanto serio ed elegante alle furiose tirate del Padrino del Soul (su Youtube c’è una splendida esibizione di 16 minuti di James Brown nel 1971 a Teatro10, lo show del sabato sera di Raiuno, con alcuni suoi famosi hit accompagnato dalla band di 10 elementi che conferma l’attento lavoro di ricostruzione e ambientazione del film). E poi l’incontro decisivo con Little Richard e con altri musicisti neri. «Dopo aver salvato la città di Boston dagli scontri, la notte dopo dell’assassinio di Martin Luther King, con un concerto davanti a «trentamila neri incazzati» e poi ancora con l’incisione del singolo Say It Loud, I’m Black and I’m Proud, Brown divenne la voce dell’America nera, accusato di essere uno zio Tom dalla Nation of Islam e un facinoroso radicale dalla destra conservatrice bianca. Andò in Vietnam per incontrare i soldati, visitò la Casa Bianca e condotto un programma tv, rilasciando parei su tutto , proprio lui che non aveva fatto neanche le elementari.

 

 

Il film è prodotto da Brian Grazer e Mick Jagger (è in sala in versione originale) che non ha resistito alla tentazione di ficcarci dentro un episodio autobiografico. Il primo incontro nel 1964, in California, quando Brown si lamentò perché «quei ragazzini bianchi inglesi» volevano uscire sul palco, per ultimi, dopo Marvin Gaye, Chuck Berry, The Supremes, The Beach Boys «ma quanti dischi hanno venduto qui da noi?» e ci sono le straordinarie immagini d’epoca, con la sua strepitosa esibizione. Get up, get on up/ Get up, get on up (che vuol dire levati in piedi,alzati) Stay on the scene, like a sex machine.