Un libro di saggi composti da uno scrittore autorizza chi legge a utilizzarne le pagine in modi eterogenei: può servirsene come un ponte per entrare nel mondo narrativo dell’autore, ciò che lo indurrà a cercare segnali indiziari del suo gusto e delle sue predilezioni, a riconoscere i legami con la tradizione cui quello scrittore appartiene, gli interessi – concomitanti o divergenti che siano – con alcuni suoi compagni di strada. Il materiale che l’autore interroga gli aprirà spiragli sul mondo culturale cui attinge quando scrive e sulle idee che lo fecondano.

Una seconda, non meno stimolante possibilità di lettura di una raccolta di saggi autoriali guarderà piuttosto all’interpretazione, al modo in cui chi scrive si avvicina al mondo degli autori amati, a quali protocolli di lettura egli privilegi, ciò che renderà possibile scoprire a quale idea di lettore appartenga lo scrittore di turno, quali domande ricorrano nella sua attitudine ermeneutica, a quali strategie critiche si affidi per svelare la ricchezza contenutistica e formale delle opere che ha sott’occhio.

I Saggi 2006-2017 di J.M. Coetzee (traduzione di Maria Baiocchi e Paola Splendore, Einaudi, pp. 224, € 25,00) consistono di ventitre interventi su autori diversi della tradizione letteraria, non disposti secondo una successione cronologica o compositiva, e il cui rimando è piuttosto alle genealogie letterarie cui i singoli poeti o romanzieri trattati appartengono.

Tra eroi senza qualità
Disposti seguendo un andamento sinuoso più che una linea retta, i saggi di Coetzee vanno dalla grande tradizione anglo-americana, che si estende da Defoe a Roth, passando per Nathaniel Hawthorne e Ford Madox Ford, toccano la cultura tedesca – da Goethe a Hölderlin a Kleist a Walser, e sfiorano il romanzo francese portando a unico esempio Madame Bovary. Compaiono, inoltre, il Tolstoj della Morte di Ivan Ill’ic, il poeta polacco Zbigniew Herbert, la scrittrice Irène Némirovsky, e l’argentino Antonio Di Benedetto. Un numero cospicuo di interventi è riservato a Samuel Beckett, mentre gli ultimi studi riguardano quella cultura australiana a cui Coetzee si è via via assimilato: il poeta Les Murray, i narratori Gerarld Murnane e Patrick White. Un ultimo testo si riferisce al Diario di Hendrik Witbooi, capo militare e simbolo della lotta namibiana per l’indipendenza.

Chi legge non cerchi una trattazione organica sull’evoluzione di un genere: il quadro delle trasformazioni culturali e stilistiche viene indicato per lampi, desunto dalle considerazioni associate da Coetzee ai singoli autori, con una dedizione speciale ad alcuni grandi interpreti del modernismo, Beckett su tutti, e incursioni nel filone di quegli eroi senza qualità che valgono da contrassegno della vita contemporanea: L’assistente di Walser, per esempio.
Eterogenea, per nulla sistematica, questa raccolta di saggi deve la sua suggestione alla qualità dell’avvicinamento di Coetzee agli autori via via letti, al suo speciale confronto con le loro opere, un confronto che passa attraverso la grammatica della esegesi che guida la strategia di lettura di Coetzee per precipitare dunque nel racconto finale, così come ora lo abbiamo sotto gli occhi.

La costanza del metodo di Coetzee si riflette in uno schema procedurale ricorrente nella quasi totalità dei testi, il quale a sua volta fonda le proprie argomentazioni su alcuni punti fermi, a sostegno di un’impalcatura analitica cui si arriva quasi sempre passando per quella mediazione con il lettore che è fondata sul resoconto orientato della vita degli autori trattati e sulla illustrazione del posto che i singoli libri hanno occupato nel corso delle loro biografie. Sono ragionamenti, quelli di Coetzee, che si nutrono di fatti, evocando possibili intrecci tra questi e la genesi delle opere: non un restauro del modello di lettura caro a Sainte-Beuve, piuttosto la proiezione dei destini che i libri hanno avuto o subíto nell’orbita dell’esistenza dell’autore, in un dialogo tra accadimenti della vita e vicende testuali che non prevede alcun determinismo. Le indicazioni sull’esistenza di Defoe sono, per esempio, il prologo all’analisi di Roxana, mentre il richiamo degli esordi di Beckett introduce alla formazione esistenziale dell’artista as a young man e alle radici delle lingue plurali che concorreranno alla sua fisionomia.

In un passaggio davvero capitale e a conclusione di questo abbozzo biografico, le vie della cultura moderna vengono disegnate da Coetzee con queste parole: «A Kaun [Beckett] descrive la lingua come un velo che lo scrittore moderno deve squarciare per arrivare a quel che c’è al di là, anche se questo potrebbe essere solo silenzio e vuoto. Da questo punto di vista gli scrittori sono rimasti indietro rispetto ai pittori e ai musicisti (fa l’esempio di Beethoven e dei silenzi dei suoi spartiti). Gertrude Stein, col suo stile verbale minimalista, ha le idee chiare mentre Joyce si sta muovendo nella direzione sbagliata, verso «un’apoteosi della parola».

Contenuti di arte e di vita
Non solo l’impronta esistenziale della vita dell’autore, ma anche la dettagliata esposizione della trama dei suoi libri concorre a informare la strategia di lettura adottata da Coetzee, il quale estrae dai suoi resoconti puntuali un universo di creature concrete, ognuna di loro segnata da una singolare scelta di vita. Nella vicenda della Lettera scarlatta, per esempio, Coetzee trova esemplificata la dialettica tra le regole di una società ferocemente puritana e le spinte generose del cuore; una dialettica che, al netto di tutte le sue varianti, agisce in almeno altri due casi presi in considerazione dallo scrittore sudafricano: I dolori del giovane Werther – di cui Coetzee sottolinea la morfologia di romanzo epistolare a una sola voce, che porta il lettore a identificarsi con il punto di vista di Wilhelm e a restare nell’orizzonte esclusivo della sua passione intransigente.

E l’ultimo romanzo di Philip Roth Nemesi, dove il pericolo di contagio cui la poliomielite sottopone i personaggi si riflette sulla sofferta responsabilizazione di ogni loro inziativa: una storia «minore» di Roth, dietro la quale Coetzee ritrova l’ombra di Edipo e gli effetti disastrosamente involontari delle scelte compiute.

Per Coetzee è, hegelianamente, «il contenuto l’aspetto decisivo dell’arte, così come di ogni opera umana»: illustrando due racconti di Tolstoj, definisce l’archetipo negativo del lettore alla cui pigrizia è indispensabile sottrarsi, e lo fa opponendo la retorica della salvezza allo scetticismo banale di quel fruitore superficiale di romanzi che, come Ivan Il’ic nel suo periodo di benessere, cerca nelle opere letterarie solo una forma di civile intrattenimento». Tutto al contrario, Coetzee somiglia piuttosto al cane che Rabelais descrive alle prese con il suo osso: «con quale fervore lo agguanta, con quanta prudenza comincia a intaccarlo, con quanta passione lo spezza, e con qual diligenza se lo succhia».