Sullo ius soli il governo non ha più una maggioranza. Alla voglia sempre più pressante di Alternativa popolare di liberarsi al più presto del provvedimento, magari rinviando ancora la discussione come chiede da giorni il ministro Costa, si è aggiunta ieri la decisione della Svp di non votare la fiducia nel caso il governo dovesse autorizzarla. A questo punto il destino della legge, ferma al Senato da oltre 19 mesi, è sempre più in bilico e affidato alla volontà del premier Gentiloni di giocarsi o meno il tutto per tutto per un provvedimento che, sebbene rappresenti una bandiera per il segretario del Pd Matteo Renzi, non rientra certo tra le priorità dell’esecutivo. La decisione sulla legge, che riconosce il diritto alla cittadinanza per i figli degli immigrati, verrà presa quindi nel prossimo consiglio dei ministri con la scelta di dare il via libera alla fiducia oppure rinviare tutto per l’ennesima volta. In ogni caso sarà l’atto finale per il ddl, ma anche un passaggio decisivo per la tenuta dell’esecutivo.

In vista proprio di quel giorno al Senato c’è già chi comincia a fare i conti. E i risultati lasciano poco spazio alla speranza. Nel caso la legge venisse blindata, infatti, in questo momento i voti a favore non supererebbero i 140, togliendo dal conteggio sia gli alfaniani che almeno 10 dei 18 senatori del gruppo delle Autonomie, del quale fa parte anche la Svp e che finora ha sempre sostenuto il governo. Certo, la scorsa settimana l’ultima fiducia è passata con appena 122 voti, ma a questo punto tutto è davvero affidato all’aiuto che potrebbe arrivare da provvidenziali assenze dai seggi di palazzo Madama. Sicuramente ancora a favore della legge restano quindi solo Pd, Mdp e qualche singolo senatore. Troppo pochi, anche considerando che la decisione di Sinistra italiana di uscire dall’aula, contribuendo così ad abbassare il quorum, potrebbbe non bastare più. «Sarà un passaggio complicato per il governo che potrebbe trovarsi in grossa difficoltà, perché in questo momento non ha i voti sufficienti», commentavano ieri sera al gruppo di Alternativa popolare.

Del resto non porre la fiducia significherebbe affrontare la discussione della legge in aula, uno scenario che forse spaventa ancora di più il Pd. Il problema non sono gli oltre 50 mila emendamenti alla legge presentati dalla Lega, facilmente cancellabili applicando il cosiddetto «canguro». Bensì la consapevolezza che anche in questo modo ne resterebbero comunque abbastanza per far durare il dibattito per settimane, con Lega e M5s scatenati e decisi a tutto pur di non far passare il testo. Visti i tempi, per il partito di Renzi ogni giorno passato cercando di contrastare leghisti e grillini rischia di rappresentare un’emorragia di voti. Insomma un calvario dal quale sia a palazzo Chigi che al Nazareno si sta cercando disperatamente una via d’uscita. Con la speranza che una mano nel frattempo possa arrivare anche dall’Europa, magari con qualche aiuto per gestire l’emergenza sbarchi. Cosa che consentirebbe di presentarsi all’opinione pubblica vantando risultati che giustificherebbero l’approvazione della legge.

Ieri il capogruppo del Pd Luigi Zanda ha messo le mani avanti anticipando che difficilmente l’aula potrà prendere in mano la legge prima della prossima settimana e puntando l’indice contro il movimento di grillo: «Bisogna prima convertire il decreto sui vaccini – ha detto – poi, anche per colpa del voto favorevole sulla modifica del calendario da parte dei 5 stelle, non potremo riprendere la discussione sullo ius soli, ma dovremo occuparci del comune di Sappada», che vuole passare dal vento al friuli venezia Giulia. Al ministro Costa che continua a chiedere un supplemento di riflessione sulla legge, ha invece risposto Matteo Orfini. «Ricordo al ministro che il testo è stato approvato alla camera 637 giorni fa con il voto della maggioranza di governo, compresa la parte da cui proviene Costa», è stata la replica del presidente del Pd. «Direi che 637 giorni di riflessione possono essere sufficienti per decidere di riconoscere un diritto negato». Le rassicurazioni che arrivano dal Pd non tranquillizzano la senatrice Mdp Doris Lo Moro. «Sono preoccupata», ha detto ieri l’ex relatrice della legge. «Sento troppe affermazioni di principio da parte del gruppo dirigente del Pd, quasi ignorando che dipende da noi e soprattutto da loro approvare la legge. Rinviarla a settembre significherebbe affossarla».