Su un monitor scorrono delle immagini sfuggenti di strade romane, solcate da una moto, e accompagnate da uno stridìo di motori roboanti che si riverberano sul Muro Torto di Roma. Poi un crash e le immagini si schiantano nello schermo nero. Quel crash fatale scaraventò Pino Pascali fuori dalla sua moto Guzzi V7 e lo mandò in coma per 13 giorni. L’artista si spense a 33 anni all’ospedale San Giovanni di Roma, l’11 settembre 1968.

IL VIDEO «MARISORTUUM», realizzato da Franco Cenci e Adriano Vlad, ripercorre la sua fine in un balenìo immaginario e dischiude l’itinerario polisemico e bivalente della mostra di Franco Cenci e Matilde Cenci, Itinerario P. Alla ricerca dell’arca perduta, a cura di Michela Becchis, alla 28 Piazza di Pietra Fine Art Gallery di Roma (domani, per il finissage proiezione di filmati di Pascali, conversazione con Dario Evola, Claudia Lodolo, Alberto Olivetti).
A cinquant’anni dalla morte dell’artista pugliese e attraverso la costruzione di precise concatenazioni cronologiche (opening nel giorno della sua scomparsa) e curati rimandi (68 polaroid come l’anno della sua morte), l’artista riavvita l’umore carismatico e la vis anticonformista di Pino Pascali, inseguendo le tracce esistenziali e lo spirito vitalistico che in quegli esaltanti anni Sessanta Pascali spingeva alacremente, con tutta la sua energia creativa, condensando vita e arte fino all’ultimo respiro.

Alfabetiere Pascali

TUTTI I LAVORI presentati in mostra nascono da una sorta di introiezione e sdoppiamento di Cenci che rielabora il pensiero pascaliano e ne inventa digressioni, evitando una pedissequa filiazione formale e un re-enactment oggettuale, bensì attivando una rivisitazione non del mito ma dell’uomo. Così le opere in esposizione assecondano il fare multiforme, tipico di Franco Cenci, con i suoi giochi testuali, i suoi decontestualizzati oggetti, la sua sobria ironia, la sua metodologia sofisticata, la sua grafica polivalente, in una corrispondenza (quasi amorosa) con l’universo mobile pascaliano.
Tra reperti anni Sessanta e tasselli di memorie architettoniche, tra magneti incastonati in una teca e immagini rubate, Cenci indaga la «sopravvivenza» di quel contesto storico romano in cui Pascali trovava linfa immaginifica per la sua ricerca. E realizza una composizione di 68 polaroid affisse sulla parete della galleria, in un ricorso fotografico quasi vintage e in realtà storico, di una Roma «Sixties» che è oramai eclissata nel suo stesso ricordo.

IN UN’ALTRA SEZIONE l’artista propone un’installazione di collages e ceramiche, ispirate ai lavori dell’artista pugliese: una ceramica smaltata con il disegno della famigerata Moto Guzzi V7 che Pascali guidava, le vignette dei Killers e la vedova blu diventata bianca. Così anche nei collages, che, in una sorprendente fusione, integrano oggetti al profilo fisiognomico di Pascali. E, ancora, attraverso la versatilità del disegno, riannoda la Guzzi V7 alla mappa dell’ultimo percorso fatto dall’artista, dall’abitazione-studio di via di Boccea fino al Muro Torto, in un iter incredibilmente casuale di vita e morte.
Lo scarto temporale che esiste tra la persistenza suggestiva dei Sixty e la contemporaneità viene, invece, rielaborato dalla serie di bellissimi ritratti in bianco e nero, scattati da Matilde Cenci, stimolati dal life style dell’epoca di Pascali e, più in generale, dal mood Sessanta. I ritratti accennano all’evocazione di una epoca socialmente e culturalmente rivoluzionaria, ancora attraente e stimolante per le nuove generazioni di millennials che di essa (fortunatamente) ne vagheggiano quello spirito trasformativo, purtroppo assente nella realtà piatta e conformista dei nostri giorni.