Investire nel Mezzogiorno, un impegno che sottoscrivono sempre governi e partiti. Poi però non succede. L’ultimo caso è quello di Italvolt: società fondata da Lars Carlstrom apposta per creare la prima Gigafactory in Italia. Un impianto dedicato alla produzione e stoccaggio di batterie a ioni di litio per veicoli elettrici.

Un investimento da 4 miliardi di euro da completare entro la primavera 2024, si stima che impiegherà circa 4mila lavoratori diretti più un indotto che potrebbe creare fino a 15mila nuovi posti di lavoro. Al sito produttivo si dovrebbe poi affiancare un laboratorio di ricerca e sviluppo. Il nuovo impianto (che sarà progettato dalla divisione Architettura di Pininfarina) «sarà in grado di contribuire con la propria produzione in modo significativo alla crescente domanda di batterie in Europa, in gran parte proveniente dall’industria automotive, che entro il 2030 aumenterà a livello globale di 17 volte fino a circa 3.600 gigawatt, con una previsione di richiesta da parte dell’Unione europea di 565 gigawatt, dietro solo alla Cina, con un fabbisogno previsto di 1.548 gigawatt».

Il governo Conte, nel silenzio generale, aveva indicato tre regioni come possibili sedi del progetto: Piemonte, Calabria e Campania. La scorsa settimana la scelta è caduta sull’area ex Olivetti di Scarmagno, in provincia di Torino. Nei comunicati le motivazioni: il collegamento con l’autostrada, l’area industriale storica della Fiat, il Politecnico di Torino, le istituzioni locali che hanno fatto squadra. E la sottolineatura finale: «Un’opportunità, quella della green transition, a livello industriale». Leggendo le dichiarazioni, ci si convince che nessuno altro luogo in Italia sarebbe stato più adatto. E infatti delle ipotesi Campania e Calabria nessuno parla, nessuna spiegazione viene data.

Andrea Amendola, segretario della Cgil campana con delega al Mezzogiorno e all’industria, mette però dei temi sul tavolo: «L’area industriale di Pomigliano d’Arco non solo è collegata all’autostrada ma ha a due passi l’aeroporto e il porto di Napoli. Quest’ultimo fondamentale perché il litio arriva dai cinesi che lo estraggono in Africa, quindi l’area partenopea avrebbe offerto un indubbio vantaggio. Ci sono gli spazi, le infrastrutture e l’Università di Ingegneria della Federico II che è di valore assoluto. Quindi cos’è che è mancato? La volontà politica a livello nazionale e locale».

Ma il Piemonte non è strategico per l’industria dell’auto e quindi per le batterie destinate alle vetture elettriche? «L’unico punto a loro favore – replica Amendola – è che Fca a Pomigliano ha cancellato l’indotto mentre l’ha conservato in Piemonte. Tuttavia la regione in Italia dove si realizzano più vetture in assoluto è l’Emilia Romagna. In quanto al gruppo Stellantis (nato dalla fusione di Fca e Psa ndr), Pomigliano è il decimo sito produttivo, Melfi è terzo. Torino è molto più indietro. Il governo non ha detto nulla eppure ci troviamo difronte al paradosso che Italvolt chiederà i fondi del Recovery fund. Verranno investiti anche altri fondi europei, quelli che l’Ue ci dà perché dovremmo ridurre i divari territoriali. Al Sud nessuno ancora ci ha spiegato quanto e dove verrà investito e come sarà attuata la transizione ecologica».

Al Nord invece i progetti si stanno già realizzando: «Sappiamo che i porti di Genova e Trieste si stanno elettrificando, per quelli del Mezzogiorno non si sa nulla. Eni ha presentato un progetto per realizzare l’idrogeno blu, un piano da un miliardo e 470 milioni, l’hub sarà a Ravenna. Eppure l’esecutivo dovrebbe essere preoccupato, nella sola Campania con la fine del blocco dei licenziamenti sono a rischio 800mila posti di lavoro».