Nell’Emilia in cui il modello cooperativo è sempre più in declino i casi di coop spurie o finte si moltiplicano. Ora un incidente sul lavoro potrebbe far cadere uno dei tanti castelli di illegalità. La Italpizza è per molti viaggiatori un nome familiare: l’enorme capannone si staglia vicino al casello di Modena Sud, crocevia autostradale usuale per qualunque automobilista.
Sorta da una costola del gruppo Cremonini che negli anni novanta faceva il bello e cattivo tempo in fatto di carni, è diventato pian piano il leader italiano delle pizze surgelate con un export molto rilevante.
L’azienda di San Donnino è tornata totalmente modenese da pochi mesi, quando il fondatore Cristian Pederzini l’ha ricomprata interamente dagli inglesi di Bakkavor.
Ma da tempo i sindacati denunciano come Italpizza sia in realtà una scatola di carta che si regge su false cooperative appaltatrici. «Su 700 dipendenti solo 100 risultano di Italpizza: sono i dirigenti e gli amministrativi», spiega il segretario della Flai Cgil dell’Emilia Romagna Umberto Franciosi, che a lungo si è speso nel caso simile della Castelfrigo di Castelnuovo Rangone (sempre Modena), l’azienda di lavorazione carni che tramite un sistema di cooperative aveva licenziato centinaia di lavoratori migranti, ora in buona parte ricollocati dopo mesi di lotta e presidio. «I restanti 600 sono divisi in cooperative in sub appalto che non applicano il contratto dell’industria agroalimentare ma quello delle multiservizi». Il dumping salariale è evidente: «Il salario e il costo del lavoro è inferiore del 40 per cento: il costo orario per un’azienda che rispetta il contratto dell’industria agroalimentare è di 23 euro, con il multiservizi siamo a 14-15 euro».
La compressione delle condizioni delle condizioni di lavoro è perfino più marcata. «I pochi lavoratori che hanno il coraggio di parlarci ci raccontano di turni massacranti», continua Franciosi. Turni massacranti che sarebbero la causa di numerevoli incidenti sul lavoro, ultimo dei quali è capitato mercoledì ad una lavoratrice 22enne nigeriana, investita da un muletto guidato da un altro lavoratore.
Per la prima volta però sono intervenuti sul posto polizia e medicina del lavoro, che – si augurano i sindacati – indagheranno sull’incidente e potranno appurare le condizioni di lavoro all’interno dello stabilimento.
«L’infortunio occorso alla 22enne nigeriana all’Italpizza è emblematico delle nuova organizzazione del lavoro che si sta insediando in molte aziende del territorio modenese. Auspichiamo che la ragazza possa riprendersi velocemente – scrivono in una nota Filcams, Flai e Filt Cgil di Modena – e che la medicina del lavoro verifichi le responsabilità in un cantiere dove numerose sono le interferenze tra le attività in appalto: attività logistiche e attività di produzione di pizze, attività che ogni qualche anno passano da una cooperativa all’altra».
Precedenti denunce dei sindacati sul sistema degli appalti erano cadute nel vuoto, a dimostrazione di quanto il sistema cooperativo sia difficilmente riformabile. “Italpizza fornisce la grande distribuzione cooperativa, Coop in testa – racconta Franciosi – . Per farlo serve un certificato etico che si rilascia anche sulle condizioni di lavoro e di appalto. Dopo la nostra denuncia sui troppi subappalti gli ispettori delle centrali cooperative sono venuti e hanno controllato. Il risultato è che il certificato etico è stato confermato e gli appalti sono perfino aumentati”, conclude sconfortato.
La storia-odissea contrattuale di un’altra lavoratrice (A.B. le iniziali per paura di ritorsioni) spiega bene come nascono e muoiono le cooperative all’interno di Italpizza. «Inizialmente dipendente della cooperativa Csm, poi lavoratrice somministrata da Synergie Italia, poi dipendente a tempo determinato di Italpizza, poi della cooperativa Vega, poi della Cooperativa Co.Fa.Mo, poi della cooperativa Logifood, ma sempre occupata all’interno di Italpizza», hanno denunciato Cgil e Cisl qualche mese fa.
«Le attività produttive sono ormai completamente appaltate a cooperative di lavoratori, per lo più stranieri, giovani, precari, addetti a mansioni in luoghi di lavoro con rischi elevati. Si estremizzano le condizioni di lavoro – è la denuncia del sindacato – all’insegna della massima flessibilità e della massima saturazione organizzativa possibile, incrementando così i rischi di sicurezza sul lavoro».