La maggioranza tiene ma fibrilla, litiga, perde pezzi nel voto segreto, sente sul collo il fiato rovente delle critiche che piovono sull’accordo che sdoppia la legge elettorale. Alla Camera il voto sul primo emendamento in discussione, segreto su richiesta di Sel, è stato respinto con 341 voti sui 394 di cui la maggioranza dispone. Se approvato, avrebbe fatto decadere l’Italicum in toto. Peggio ancora al secondo voto segreto, dove i no sono stati solo 316.

Più in là di così ieri non si è potuti andare, perché il parere sugli emendamenti ha portato via quasi tutta la giornata. Alla fine ne sono stati ammessi circa 200 ed è già un calvario. I lettiani puntano i piedi sull’emendamento che vorrebbe rendere obbligatorie per tutti le primarie, alla fine cedono e lo ritirano ma un deputato, Meloni, insiste e lo presenta lo stesso. I popolari mantengono tutti i loro emendamenti e il leader, l’ex ministro Mauro, annuncia ricorso presso la Consulta sulla trovata della doppia legge, una per la Camera, l’altra, tutta diversa, per il Senato, tanto si sa che deve scomparire ma se poi non scompare apriti cielo. Tiene duro sulle primarie per un po’ anche Sc, che poi chiede a voce alta un bel vertice di maggioranza «per risolvere le criticità». Una novità.

Ma i guai veri stanno altrove. Per esempio sulla parità di genere, la norma, chiesta da diversi emendamenti, per assicurare candidature alternate uomo/donna. Fi è contraria, gli emendamenti vengono accantonati, ma le donne azzurre non ci stanno e minacciano di votare gli emendamenti del Pd. I maschi le minacciano di rappresaglia: «Allora noi votiamo gli emendamenti sulle preferenze e vedete che fine fa il gentil sesso». Galanti.

Il governo esprime parere negativo, provocando le ire delle parlamentari della maggioranza ma anche dell’opposizione. «Incomprensibile», si indigna la ex responsabile delle donne Ds Barbara Pollastrini. «Il governo si è assunto una responsabilità grave che mina la sua credibilità», rincara la vicepresidente del gruppo Sel Titti Di Salvo. A nome della segreteria Pd, Lorenzo Guerini assicura che sull’atteggiamento del partito non ci può essere dubbio: «Sulla parità di genere noi ci siamo e siamo pronti a confrontarci». Meno netto di quanto sembri.

Poi c’è l’emendamento salva Lega, che il Pd è deciso ad affossare e Forza Italia difende ma non proprio a spada tratta. Per non parlare delle correzioni che permetteranno la candidatura multipla in ben otto (dicasi otto) collegi. Sono targati Pd e Fi ma a imporli è stato l’Ncd. Per fortuna erano quelli che strepitavano per restituire agli elettori il diritto di scegliersi la loro rappresentanza. Se erano contrari finiva con diritto a candidarsi in una quarantina di collegi.

Il guaio più grosso, però, è proprio quell’assurda intesa a tre sulla riforma della legge solo per la Camera. L’opposizione interna al Pd non fa sconti: «E’ un superpasticcio», chiosa drastico Pippo Civati. Quella esterna, al secolo Grillo Beppe, ci va a nozze: «Uno scempio istituzionale per il quale non si ode alto e forte il monito del Colle».

In effetti, da Tirana, il capo dello Stato si limita a un abbottonatissimo «lasciamo lavorare la Camera», ma filtrano da più parti voci su una fortissima perplessità, dovuta a due distinti motivi. Il primo è che l’intera architettura si basa un progetto fantasma di cancellazione del Senato. Peccato che quella riforma al momento non esista, avendo Napolitano già bollato quella ipotizzata da Renzi come caso lampante di analfabetismo istituzionale.

Il secondo è che alla legge elettorale del Senato bisognerà invece mettere comunque mano. La sentenza della Consulta suggerisce infatti di ricorrere alla candidatura uninominale, ma una norma in questo senso non c’è e non sarà facile vararla, tanto più che la via del decreto, per definizione la più semplice, è ostruita dalla legge che vieta la decretazione d’urgenza in materia di norme elettorali. Inoltre, dal momento che il Senato viene eletto su base regionale, potrebbe essere necessaria una riforma costituzionale solo per questo. Tutto ciò senza contare i dubbi di natura politica che una soluzione così bizzarra rende inevitabili. Nata malissimo, questa legge finirà peggio.