Più povera, ma più coesa. L’Italia post lockdown è un paese scioccato dalla pandemia con le pesanti conseguenze economiche che hanno però risvegliato il senso civico e solidale in buona parte della popolazione. È il quadro che esce dal Rapporto Annuale 2020 dell’Istat che quest’anno per evidenti motivi ha dovuto aumentare le ricerche e il risalto al primo semestre dell’anno in corso, lasciando sullo sfondo l’anno passato.

Il presidente “leghista” dell’Istat Gian Carlo Blangiardo

IL SECONDO RAPPORTO PRESENTATO dal presidente di nomina leghista Gian Carlo Blangiardo alla camera è caratterizzato dalla parte sul Covid-19. Accanto a dati risaputi – l’aumento della mortalità specie a marzo in Lombardia – spuntano analisi nuove: «L’incremento di mortalità ha penalizzato di più la popolazione meno istruita: il rapporto standardizzato di mortalità – che misura l’eccesso di morte dei meno istruiti rispetto ai più istruiti – è intorno a 1,3 per gli uomini e a 1,2 per le donne. L’elevato numero di decessi a causa del Covid-19 avrà un impatto anche sulla speranza di vita: «alla nascita scenderebbe a 82,11 anni (-0,87) e quella al 65° compleanno si ridurrebbe da 20,89 anni a 20,02». E questo potrebbe avere un effetto cinicamente positivo sull’età di pensionamento visto che a fine 2021 tornerà in vigore quasi tutta intera la riforma Fornero con l’innalzamento legato all’aspettativa di vita.

La ricerca Istat ha poi testato i comportamenti degli italiani durante i mesi di lockdown. «Una forte coesione è stata il segno distintivo», con «alta la fiducia verso le principali istituzioni: in una scala da 0 a 10 i cittadini hanno assegnato 9 al personale medico e paramedico e 8,7 alla Protezione civile». «La stragrande maggioranza dei cittadini, trasversalmente a tutto il Paese, ha seguito le regole definite, specie il lavarsi le mani (mediamente 11,6 volte in un giorno), disinfettarsele (5 volte), rispettare il distanziamento fisico (92,4% della popolazione). «Forte l’incremento alla lettura: si tratta del 62,6% della popolazione. Il 26,9% ha letto libri, il 40,9% quotidiani».

MOLTO INTERESSANTI I DATI sulla situazione del comparto sanità al momento di affrontare la lotta alla pandemia. «Dal 2010 al 2018 il calo del personale è stato del 4,9% e ha riguardato anche medici (-3,5%) e infermieri (-3,0%)». «L’Italia dispone di 39 medici ogni 10mila residenti, un numero sensibilmente inferiore a quello della Germania, che ne conta 42,5. Ancora più sfavorevole il confronto con il personale infermieristico: 58 per 10mila residenti contro 129». «L’offerta di posti letto ospedalieri dal 1995 al 2018 si è quasi dimezzata: da 356mila – pari a 6,3 per 1.000 abitanti – a 211mila – pari con 3,5 posti letto ogni 1.000 abitanti. Nell’Ue l’offerta di posti letto media è di 5,0, in Germania sale a 8.

[do action=”citazione”]Leggiamo preoccupati gli esiti devastanti delle misure di confinamento in aree strategiche, per il prezzo pagato fin qui dalla scuola e per l’ipoteca che incombe sui di essa nei mesi a venire[/do]

LUNGO E DETTAGLIATO IL CAPITOLO sugli effetti delle chiusure delle scuole che ha portato ad «un aumento delle diseguaglianze tra i bambini: nel biennio 2018-2019 il 12,3% dei minori di 6-17 anni (pari a 850mila) non ha un pc né un tablet ma la quota sale al 19% nel Mezzogiorno. Lo svantaggio aumenta se combinato con lo status socio-economico: non possiede pc o tablet oltre un terzo dei ragazzi che vivono nel Mezzogiorno in famiglie con basso livello di istruzione». Il 45,4% degli studenti di 6-17 anni (pari a 3 milioni 100mila) ha difficoltà nella didattica a distanza per la carenza di strumenti informatici in famiglia». In più «il sovraffollamento abitativo in Italia è più alto che nel resto d’Europa (27,8% contro 15,5%), soprattutto per i ragazzi di 12-17 anni (47,5% contro 25,1%). «Si stima che lo shock organizzativo da Covid-19 possa aver interessato almeno 853mila nuclei familiari con figli sotto i 15 anni, tra questi nuclei, sono 581mila quelli con genitori occupati in settori rimasti attivi anche nella fase del lockdown».

[do action=”citazione”]Abbiamo tenacemente affrontato l’epidemia grazie ad un’ampia e intensa mobilitazione che ha visto istituzioni, imprese, famiglie accomunate ora a rimettersi in gioco per la ripresa[/do]

TINTE FOSCHE SUL TEMA LAVORO. Il tasso di irregolarità dell’occupazione è più alto tra le donne, nel Mezzogiorno, tra i lavoratori molto giovani: il tasso è al 23,8% in agricoltura, al 16,0% nelle costruzioni e al 13,9% nei servizi, con punte del 17,1% nel settore degli alberghi e dei pubblici esercizi, il 23,8% nelle attività ricreative e ben il 58,3% nel comparto del lavoro domestico. Nella difficile situazione economica generata dalle misure di contrasto alla pandemia: «circa 2,1 milioni di famiglie (per oltre 6 milioni di individui) hanno almeno un occupato irregolare; la metà, poco più di un milione, ha esclusivamente occupati non regolari».
In generale, «per la generazione più giovane è diminuita la probabilità di ascesa sociale: per il 26,6% dei nati nell’ultima generazione (1972-1986) l’ascensore è diventato scende verso il basso e supera, per la prima volta, la percentuale di chi sale, cioè il 24,9%: sono sempre di più i figli che hanno una condizione economica inferiore a quella dei genitori».

Il lavoro da remoto – non chiamiamolo smart working – potrebbe essere una risposta. Secondo l’Istat, dopo le esperienze del lockdown – lo potrebbero utilizzare ben «8,2 milioni di occupati (il 35,7%) con professioni che lo consentirebbero; si scende a 7 milioni escludendo le professioni per le quali in condizioni di normalità è comunque preferibile la presenza sul lavoro (ad esempio gli insegnanti)».

LA CADUTA DELLA NATALITÀ potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid. Per l’Istat «il clima di incertezza e paura produrrà un calo di 10 mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021. La prospettiva peggiora con gli effetti dello shock sull’occupazione: i nati scenderebbero a circa 426 mila nel 2020, per poi ridursi a 396 mila nel 2021.