Mailbombing per chiedere l’annullamento del memorandum Italia-Libia: l’ultima campagna lanciata dalle organizzazioni promotrici di #ioaccolgo (tra cui Caritas, Acli, Sant’Egidio, Asgi, Centro Astalli, Cgil) è indirizzata direttamente alla mail del presidente del Consiglio Conte. Ma la scadenza entro la quale il nostro paese poteva chiedere di fermare il rinnovo automatico del memorandum firmato nel 2017 da Gentiloni e Serraj è arrivata – oggi 2 novembre – e la strategia del governo Conte 2 è definita. Quell’accordo, malgrado la valanga di critiche arrivate negli anni dalle organizzazioni internazionali e le tante prove raccolte sui crimini dei carcerieri libici, malgrado anche l’ultimo appello firmato da 25 parlamentari di maggioranza contro il memorandum, sarà rinnovato per altri tre anni (dal 2 febbraio 2020). Con qualche richiesta di modifica che il governo preciserà ai libici dopo aver fatto partire la procedura di modifica. «Dovranno andare nella direzione di rafforzare le condizioni per i migranti», ha detto ieri Di Maio, che nel Conte 2 sta provando a intestarsi la linea dura che fu di Salvini, «migliorarle di molto sia nei centri sia nella gestione dello sbarco quando la guardia costiera li salva in mare».

La dichiarazione del ministro degli esteri rinnova l’equivoco del salvataggio da parte della cosiddetta guardia costiera libica, che in realtà con mezzi e soldi italiani non fa che impedire i soccorsi o arrestare i migranti in fuga dai centri di detenzione per riportarli indietro – talvolta invece li lascia affogare o li uccide direttamente. Le proposte che l’Italia avanzerà alla Libia sono state riassunte ieri dalla ministra dell’interno Lamorgese in un’intervista a Repubblica. Potenziare i corridoi umanitari per «svuotare» i centri libici – nei circa tre anni di Memeorandum meno di 900 persone sono arrivate con questi «corridoi». Tentare di rendere finalmente effettivo il controllo delle organizzazioni internazionali come l’Unhcr nei centri di detenzione libica – oggi è una possibilità prevista solo sulla carta. E potenziamento dei rimpatri cosiddetti «volontari», in realtà ottenuti dietro l’esborso di una somma economica necessaria a convincere chi è fuggito dalla Libia a farci pericoloso rientro.

Il denaro è la base del Memorandum, in rinnovo comporterà l’impegno di altri 150milioni di euro che l’Italia gira alla Libia perché li gestisca in piena autonomia, in cambio di un freno alle partenze per le nostre coste. Con qualsiasi mezzo. «Siamo riusciti a far parlare degli accordi tra l’Italia e la Libia, il governo ha promesso che li cambierà. Ma intanto il governo li ha rinnovati così come sono. Per me è una sconfitta», ha detto il deputato ed ex presidente del Pd Matteo Orfini.

Incassata la sostanziale continuità sul punto dei rapporti con la Libia – continuità non solo e non tanto con il governo Conte uno ma soprattutto con il governo Gentiloni – Zingaretti fa sapere che «a proposito di sicurezza il Pd nei prossimi giorni chiederà il ritiro o la modifica dei decreti sicurezza, così come stabilito nel programma di governo». Purtroppo il programma dice assai meno: «La disciplina in materia di sicurezza dovrà essere rivisitata, alla luce delle recenti osservazioni formulate dal presidente della Repubblica». Osservazioni che riguardavano però un solo aspetto del decreto sicurezza bis direttamente legato al soccorso dei migranti: la multa e il sequestro delle navi Ong ritenute eccessive dal Colle. Soprattutto nel programma di governo non c’è alcun accenno al primo decreto sicurezza (Mattarella lo aveva firmato ricordando però che l’Italia resta soggetta alle legge internazionali sul salvataggio in mare) che pure è quello che ha introdotto l’abrogazione della protezione umanitaria, la riforma del sistema Sprar e il divieto per i richiedenti asilo di iscriversi all’anagrafe dei Comuni. Argomenti sui quali è stata chiamata a intervenire la Corte costituzionale. Proprio ieri la fondazione Openpolis ha diffuso uno studio sugli esiti del primo decreto sicurezza a distanza di 13 mesi circa dalla sua pubblicazione: la stretta sulle domande di asilo ha portato a un 80% di risposte negative nel 2019 (nel 2018 i no erano il 67%). Le possibilità di appello sono state limitate dal governo Gentiloni e il risultato è la crescita dei migranti irregolari in Italia: l’anno prossimo potrebbero sfiorare i 700mila.