La via della transizione ecologica, o quel che ne resta, è lastricata non solo di buone intenzioni, ma anche di incidenti. Ammesso che di incidente si possa parlare, nel caso del rinvio da parte della presidenza di turno belga del voto sulla due diligence industriale. Un voto che in caso di esito negativo avrebbe affossato una direttiva per stabilire obblighi su rispetto dei diritti umani e tutela dell’ambiente per le imprese che operano nell’Ue.

Responsabile del tentativo di deragliamento, la strana coppia Roma-Berlino. Nel corso del Consiglio Competitività, tenutosi nella cittadina belga di Genk, i responsabili dei ministeri dell’Industria dei 27 avrebbero dovuto dare il via libera alla direttiva sulla sostenibilità aziendale (Corporate sustainability due diligence directive, Csddd). Si tratta di una legge proposta dalla Commissione Ue nel 2022 che era già stata validata da un trilogo (la riunione informale di Eurocamera e governi Ue guidata dalla Commissione) a metà dicembre scorso. La decisione sul Csddd era sulla carta solo formale, ma si è trasformata in una grana. Il governo tedesco ha annunciato l’astensione – che in Consiglio equivale a voto contrario – per bocca del sottosegretario del ministero dell’Economia, Sven Giegold. Ironicamente, è toccato a lui, esponente dei Gruenen spiegare l’astensione del governo Scholz, su spinta degli alleati liberali e per fedeltà all’alleanza di governo. «Noi Verdi avremmo votato a favore perché crediamo contribuisca a creare condizioni di parità».

A UN PESO DA NOVANTA come quello della Germania, si è unita l’Italia, anche dietro pressione di Confindustria: «Il voto italiano sarà decisivo e noi ci aspettiamo un’astensione», aveva dichiaro alla vigilia del Consiglio il delegato Ue di Confindustria Stefan Pan al quotidiano il Sole24Ore. Quando Roma ha annunciato a sua volta l’astensione ha fatto così scattare la cosiddetta minoranza di blocco. Prevedendo che non si sarebbe raggiunta la maggioranza qualificata (55% dei paesi Ue in rappresentanza del 65% della popolazione dei 27) in Consiglio, la presidenza belga ha agito di conseguenza, decidendo di rinviare il voto a data da destinarsi, per salvare la direttiva. Eppure, quello sulla due diligence aziendale viene definito un provvedimento «cruciale per la transizione» e la sostenibilità delle imprese da Ecco, think tank italiano per il clima. Nel rapporto stilato dall’organizzazione si legge tra l’altro: «Insieme a regolamenti esistenti e ad altre iniziative normative, e in quanto parte del Green deal, la Csddd richiede alle aziende europee di sviluppare piani di transizione per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C, come stabilito nell’Accordo di Parigi e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050».

ROMA NON SI È LIMITATA a minacciare, insieme a Berlino, la direttiva sulla due diligence industriale. A margine della riunione dei ministri, il responsabile delle Imprese Adolfo Urso è intervenuto sul tema delle “materie prime critiche”, considerate fondamentali per la transizione e l’indipendenza energetica dell’Ue ma dalla discussa sostenibilità ambientale. In questo quadro, l’esponente di FdI ha indicato la possibilità di incrementare l’attività estrattiva sul suolo italiano. «Siamo in procinto di realizzare una legislazione nazionale per favorire la riapertura e l’apertura delle miniere, la lavorazione delle materie prime critiche e della tecnologia green, assolutamente decisiva per la competitività dell’intero continente».

URSO FA RIFERIMENTO al Regolamento Ue in corso di approvazione sulle “materie prime critiche” (Critical raw materiala act, Crma), con il quale i 27 provano a diminuire la dipendenza dai Paesi extra-Ue di materiali fondamentali per la produzione di energia pulita e componenti digitali quali litio, cobalto, silicio e terre rare. Metalli “strategici” importati in larga parte da paesi extra-Ue e trasformati nel prodotto finale principalmente in Cina. Ecco perché il nuovo regolamento prevede di aumentare sensibilmente l’attività estrattiva (almeno il 10% entro il 2030) in Europa. Rischiando però di causare conflitti con le comunità e i territori che vivono nelle zone dei giacimenti, come già successo alcuni mesi fa in Portogallo.