Le crisi e le emergenze sono sempre momenti nei quali si aprono una molteplicità di opportunità di cambiamento ma anche lunghe fasi di interregno e transizione. È in questi interstizi decisivi della storia che ciò che conta è avere la capacità di elaborare una visione del futuro poiché, soprattutto in un’ottica progressista, solo in questa maniera si può pensare di elaborare una tattica e una strategia in grado di incidere positivamente sulla realtà.

Le scienze sociali possono dare un contributo in questo senso, riannodando in chiave democratica i fili di un rapporto tra sapere esperto e politica attualmente egemonizzato (malamente) dal neoliberalismo? Può essere prodotto un immaginario alternativo di futuro rispetto a quello puramente attualizzante del presente promosso dalla tecnocrazia neoliberale? Con questa domanda si misura il libro di Paolo Perulli Nel 2050. Passaggio al nuovo mondo (il Mulino, pp. 168, euro 14).

In breve, per Perulli la crescente irrazionalità e disorganizzazione del sistema globale, tale da spingerci sull’orlo della definitiva catastrofe sociale, politica ed ecologica, è caratterizzata dalla disconnessione tra i tre principali soggetti socioculturali che la animano: le élites globali (classe dominante), la classe creativa (le «nuove» classi medie) e la neo-plebe (le classi popolari).

IN QUESTO SCENARIO la disconnessione tra gli ultimi due e il degrado in cui sono stati fatti piombare le classi popolari – neo-plebe è infatti un termine altamente evocativo e polemico – è stato lo strumento politico attraverso il quale le élites globali hanno potuto consolidare il loro dominio.

Promuovendo de-territorializzazione, smaterializzazione e de-localizzazione del capitale così come, in ultima analisi, l’evaporazione di ogni legame responsabile con le comunità, i territori, le persone, la natura. La nuova azione collettiva che dovrà salvarci dalla catastrofe prodotta da tutto questo deve organizzarsi attorno a due sfide principali – trattate negli otto capitoletti della seconda parte del libro: rovesciare il rapporto tra «locale» e «globale», tra «sistema» ed ecologie socio-ambientali, in modo che nessuno dei due ambiti sopprima l’altro, facendo atterrare ed ancorare ai territori i flussi disconnessi dell’attuale modello di globalizzazione.

In questo nuovo scenario «glocale» il senso dei territori si estende: ora questi devono essere considerati non più in termini di comunità locali o nazioni ma di interi continenti. Nuclei federati di stati, regioni, comunità, di una più complessiva federazione mondiale. La seconda sfida riguarda il ruolo della democrazia partecipativa e deliberativa che deve estendersi e organizzarsi come motore politico di un nuovo equilibrio istituzionale che rilanci il ruolo dell’azione pubblica come dell’economia basata sui beni pubblici.

LÌ DOVE GLI SCAMBI di mercato divengono il mezzo per cementare l’interconnessione tra i diversi territori del mondo (come ricorda Perulli, un elemento profeticamente richiamato dal Marx dei Grundrisse) e non il fine assoluto. La rinnovata alleanza tra classi popolari e classi creative, da promuovere innanzitutto nelle città e nei territori, è infine il blocco sociale che dovrà assumersi l’onore di guidare il processo di trasformazione verso un «2050» alternativo, più utopico eppure più realistico rispetto a quello prefigurato dalla progettualità messa in campo dalle élites globali e dalle istituzioni internazionali nelle loro varie agende e piani di ricostruzione post-pandemica.

Il volume di Perulli non è dunque un libro dei sogni o l’analisi di un intellettuale isolato. Al contrario, esso ha il coraggio di rilanciare tutto quel patrimonio di analisi teorica ed empirica che, in chiave critica, è stato prodotto dalla sociologia sin dagli anni Novanta – e l’uso di termini come «glocale» e «classe creativa» stanno lì a testimoniarlo.

Ma anche, nell’anno in cui ricorrono i venti anni del fatidico G8 di Genova, l’invito a ripartire da quei contenuti elaborati dal più significativo movimento sociale del XXI secolo che, per molti versi, aveva individuato attraverso un’elaborazione collettiva e di respiro mondiale molti dei temi fondamentali su cui Paolo Perulli insiste nel suo libro visionario e necessario.