«Non molleremo finché questa dittatura non sarà finita». Yusuf Cansun scandisce le parole, coperto dalle grida dei dimostranti, seduti di fronte agli agenti in tenuta anti-sommossa, sul selciato di Istiklal Caddesi. La protesta degli esuli del Gezi Park e di piazza Taksim si è spostata qui, ieri, sul boulevard delle vetrine, delle discoteche e dei fast food, a due passi dalla piazza oramai interdetta. Yusuf è uno studente di Belle Arti all’università di Istanbul e fa parte del gruppo marxista leninista Kaldirac (letteralmente «leva», quella con cui Archimede intendeva sollevare il mondo). «Continuiamo a protestare – dice – e lo facciamo pacificamente, per opporci allo sgombero del parco Gezi, agli arresti sommari di avvocati, medici e giornalisti, ai metodi fascisti che Erdogan si ostina ad utilizzare». La strada inizia a riempirsi, nel tardo pomeriggio. Il cordone della polizia si infittisce. Parte la prima carica, gli agenti sparano proiettili di gomma ad alzo zero sui manifestanti. La folla si disperde nelle vie limitrofe. Ma dopo qualche minuto sono di nuovo tutti in strada. Una folla composita, fatta di giovani e non, laici e islamici anticapitalisti, curdi e kemalisti, ambientalisti e tifoserie, donne, operai, disoccupati. «Erdogan non è altro che un capitalista, sta vendendo il Paese agli interessi di pochi” afferma Ozqur Kivong, uno dei cosiddetti «Anticapitalisti islamici», le cui bandiere nere avevano trovato istantanea integrazione nella cornice laica e leftish del parco Gezi e di piazza Taksim.

Lo sciopero generale, dichiarato dai sindacati e marchiato come «illegale» dal primo ministro, porta in piazza anche chi ha i capelli bianchi. Orsman Akman ha sessant’anni e di professione fa il professore di turco per migranti. «Non pensavo che Erdogan potesse giungere fino a questo punto – osserva – sembra che abbia deciso di sfidare il popolo turco e il mondo. Si fa beffe dell’opinione pubblica internazionale e dichiara di non riconoscere il Parlamento europeo, arresta i giornalisti, minaccia un intervento militare. Questo è un colpo di Stato. Per la prima volta stiamo conoscendo il volto oscuro di un governo che si professava liberale. I turchi, specie quelli di Istanbul, non possono accettarlo».

I casi di aggressione e gli arresti da parte delle forze dell’ordine si moltiplicano. Come quello del fotografo livornese Daniele Stefanini. Avvengono soprattutto nelle strade più anguste, come Siraselviler Caddesi, dove la polizia ha ingaggiato nei giorni scorsi una battaglia quasi ininterrotta con migliaia di manifestanti. Oyku Iz, attivista del Collettivo femminista di Istanbul, ha scampato l’arresto per un soffio. Peggio è andata all’amica che era con lei: «L’hanno picchiata e portata in commissariato – racconta Oyku – quindi l’hanno costretta a denudarsi. La nostra ormai non è più una battaglia di genere. Qui è in gioco la dignità del nostro Paese».