Il lockdown rinforzato, come lo chiamano in Israele, per contenere la pandemia è entrato in vigore ieri pomeriggio alle 14. La chiusura del paese non sarà alleggerita prima di due settimane e solo se al termine delle festività ebraiche i numeri del contagio saranno più confortanti. Secondo le nuove restrizioni sarà vietato muoversi oltre un chilometro dal proprio domicilio con alcune eccezioni, resteranno ferme le produzioni non essenziali, i negozi saranno chiusi tranne supermarket e farmacie. Non saranno permessi assembramenti con più di 20 persone. Le sinagoghe resteranno chiuse, eccetto il giorno di Kippur. Volerà da Israele solo chi ha acquistato un biglietto prima di ieri alle 11 e se sarà in possesso del risultato negativo del test al coronavirus.

Il lockdown più leggero proclamato una settimana fa non ha dato risultati apprezzabili. Da giorni si registrano numeri record inquietanti. Ieri i casi positivi sono stati 7500. 59 i decessi in 24 ore (1412 in totale). I malati in terapia intensiva sono attualmente 708 (170 intubati). Il Weitzman Institute, uno dei più autorevoli di Israele, per sottolineare la gravità della situazione ha comunicato che se nella prima ondata di marzo i contagi erano stati in totale circa 16mila, in questa seconda solo negli ultimi 4 giorni sono stati 17mila. Gli ospedali sono saturi e sono stati assunti altri medici ed infermieri per affrontare meglio la pressione sulle strutture sanitarie.

La diffusione dell’epidemia rischia di andare fuori controllo e gli scontri politici non aiutano a trovare le soluzioni idonee. La Knesset non è riuscita a trovare ancora un compromesso sulle norme che riguardo la chiusura delle sinagoghe e lo svolgimento delle preghiere. E sul diritto a manifestare che le nuove restrizioni limitano nel luogo e nel numero. Denuncia una svolta repressiva il movimento delle Bandiere nere che da settimane tiene raduni a Gerusalemme e in altre città per chiedere le dimissioni del premier Netanyahu, per la sua cattiva gestione della crisi coronavirus e perché è sotto processo per corruzione. Netanyahu contro le Bandiere nere vorrebbe usare il pugno di ferro facendo approvare alla Knesset «lo stato di emergenza». Definisce «anarchiche e ridicole» le manifestazioni, sostiene che la «gente ne è stanca» perché sono «incubatori di contagi». Ma contro le sue intenzioni si è schierato il procuratore dello stato Avichai Mandelblit: la Corte Suprema, avverte, potrebbe bocciare le misure di emergenza.

Non cessano anche le contestazioni dei religiosi ortodossi per la chiusura imposta durante le festività ebraiche, mentre gli esperti avvertono che la paralisi dell’economia avrà ricadute devastanti. Lo stesso commissario per la lotta al coronavirus Ronni Gamzu si oppone al lockdown più rigido deciso dal governo. «Senza dubbio quando blocchi di più il calo delle infezioni è più significativo ma il costo economico è tremendo», ha messo in guardia. Da febbraio scorso circa 850mila israeliani si sono iscritti al servizio nazionale di impiego in cerca di lavoro, di questi 522mila erano stati licenziati. Altri 110mila non hanno alcun ammortizzatore sociale.

La gestione fallimentare della crisi coronavirus, soprattutto nei suoi risvolti economici, si sta trasformando in una Caporetto politica per Netanyahu e il suo partito, il Likud, che i sondaggi danno in forte calo. Al contrario cresce il consenso per il partito nazionalista religioso Yamina, di Naftali Bennett, che predica soluzioni totalmente diverse da quelle attuate dal governo.