Israele continua la penetrazione nel mondo arabo. La scorsa settimana ha fatto notizia l’annuncio ufficiale che Tel Aviv avrà un suo stand all’Expo 2020 che aprirà i battenti il prossimo autunno a Dubai. E due giorni fa Israele è diventato un importante esportatore di energia dopo la firma del permesso per portare gas naturale in Egitto. In apparenza sono successi economici, in realtà si tratta di vittorie diplomatiche a tutti gli effetti per il governo uscente guidato da Netanyahu. Nel primo caso Israele sarà accolto con tutti gli onori negli Emirati, con cui non ha relazioni ufficiali. Nel secondo esporterà gas in un paese, l’Egitto, con cui ha rapporti diplomatici da 40 anni ma dove la popolazione condanna con forza l’occupazione israeliana di terre palestinesi e arabe.

 

Il permesso di esportare il gas in Egitto, spiega il ministro dell’energia Yuval Steinitz, uno dei progetti di cooperazione economica più importanti tra i due paesi dalla firma dell’accordo di pace del 1979. Il più grande giacimento di gas offshore israeliano nel Mediterraneo, il Leviathan, sta per diventare operativo e assieme a un altro giacimento, Tamar, coprirà la crescente domanda di energia dell’Egitto con 85,3 miliardi di metri cubi in 15 anni sulla base degli accordi sottoscritti dai due paesi nel febbraio 2018.

 

Ma se i vertici dei due paesi camminano mano nella mano, in Egitto tanti arricciano il naso di fronte a queste relazioni sempre più strette con Israele. E il clima non è diverso in Giordania, che pure importerà gas israeliano. La Jordanian Electricity Company aveva concluso un accordo per importare da Israele già nel 2019 il 40% del fabbisogno interno per la produzione di elettricità ma il contratto è stato respinto un po’ da tutti fin dal primo giorno della sua firma. La Camera bassa giordana ora sta preparando un progetto di legge per «annullare l’accordo sul gas con Israele», forte dell’appoggio di gran parte dei cittadini giordani. Inoltre non è detto che la rivalità per il gas offshore nel Mediterraneo orientale si trasformi in scontri militari veri e propri. Unità turche qualche giorno fa hanno intercettato una nave israeliana che (ufficialmente) stava svolgendo attività di ricerca in acque cipriote, costringendola ad allontanarsi. Un segnale inequivocabile da parte di Ankara intenzionata ad ostacolare il rapporto tra Egitto e Israele. E anche  per questo motivo ha firmato un accordo militare (Restriction of Marine Jurisdictions) con la Libia condannato da Atene e Nicosia (e sgradito a Tel Aviv ). L’intesa copre un’area destinata ad ospitare il gasdotto dell’East-Med che dovrebbe trasportare gas da Israele all’Italia attraverso Cipro e Grecia.

 

Più pianeggiante è il terreno dell’Expo 2020. Per Tel Aviv è una opportunità ghiotta. Si prevede che l’Expo attirerà circa 25 milioni di visitatori e Israele passa dall’accettazione sotto il tavolo a un riconoscimento di fatto da parte delle monarchie sunnite del Golfo. Netanyahu ripete che Israele ormai ha più amici che nemici nel mondo arabo. E ricorda la sua visita ufficiale in Oman e i contatti ben avviati con il Bahrain e il Qatar. Dietro le quinte è soprattutto l’Arabia saudita ad aver stabilito con lo Stato ebraico una intesa strategica contro il nemico comune, l’Iran. Tuttavia il riconoscimento ufficiale di Israele è ancora lontano. Sino a quando continuerà l’occupazione dei Territori palestinesi e non sarà trovata una soluzione condivisa per Gerusalemme, città santa anche per l’Islam, è improbabile che i paesi arabi accettino di firmare un trattato di pace e di scambiare gli ambasciatori con Israele.