Lo Stato islamico attacca il tempio sikh di Kabul, Talebani e governo raggiungono una prima intesa sul rilascio dei detenuti e a Herat, nella parte occidentale del Paese, 4 soldati italiani risultano positivi al coronavirus. Le notizie di ieri dall’Afghanistan indicano tendenze significative. La prima riguarda la cosiddetta «Provincia del Khorasan», la branca locale dello Stato islamico, che ha rivendicato l’attentato di ieri contro il Gurdwara Sahib della capitale, tempio e centro culturale di sikh e hindu nel quartiere Shorbazar.

Almeno 25 le vittime, molti i feriti, 6 le ore necessarie per portare in salvo il resto dei fedeli e i residenti del centro comunitario.

L’attacco contro la minoranza dei sikh serve allo Stato islamico per affermare la propria presenza, ora che i Talebani hanno trovato un accordo con gli Stati Uniti, impegnandosi anche nelle operazioni contro l’Isis. Due giorni fa il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha bacchettato il presidente Ashraf Ghani e il rivale Abdullah Abdullah, annunciando il taglio di due miliardi di dollari in aiuti e sollecitandoli a un maggiore impegno nel processo di pace.

Ieri la notizia: il 31 marzo avverrà il primo rilascio di detenuti Talebani dalle carceri governative, ha fatto sapere il portavoce della delegazione talebana di Doha, in Qatar.

La decisione è arrivata dopo 4 ore di negoziato in video-conferenza tra Talebani, esponenti governativi, rappresentanti di Qatar, Usa e della Croce rossa internazionale. Verranno rilasciati per primi i detenuti in condizioni sanitarie critiche, i più anziani e vulnerabili al coronavirus, a condizione che non tornino a combattere. La diffusione del virus preoccupa tutti. Lo Stato maggiore della Difesa ha fatto sapere che i quattro soldati della missione Nato contagiati sono italiani: tre soldati dell’esercito e un militare dell’aeronautica di stanza a Herat. Arrivati da poco in Afghanistan, già in quarantena preventiva, sono risultati positivi ma «stanno bene».

Secondo i portavoce della missione Nato-Resolute Support, ci sono almeno altri 38 casi sospetti e 1.500 persone sotto controllo preventivo. Due giorni fa, invece, il generale Austin Scott Miller, a capo delle truppe Usa e Nato, ha dichiarato che prevenire la diffusione del coronavirus è già difficile in condizioni normali, ma «quasi impossibile se c’è violenza». Per questo, «tutti gli attori devono ridurre la violenza». Sulla stessa linea il presidente Ghani, che ha invitato i Talebani a seguire l’invito degli ulema, religiosi e studiosi di diritto islamico, che domenica hanno invocato un cessate il fuoco generale.

Di un «cessate il fuoco globale e immediato» parla anche il segretario dell’Onu Guterres. È indispensabile per prevenire la diffusione del contagio, particolarmente facile nei Paesi in guerra, dove le strutture sanitarie e l’accesso a ospedali, cliniche, medici è più complicato. E le condizioni igieniche più compromesse.