Henry Miller ha scritto «Lina, a mio parere, è preferibile come regista a qualsiasi maschio… Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto mi ha fatto tornare in mente Tropico del Cancro e Sexus. Umorismo e scopate a mucchi… Hollywood, con tutti i suoi divi, non sa darci questo». Diciamolo, gli statunitensi hanno adorato Lina Wertmüller – morta nella sua casa romana all’età di 93 anni – forse molto più di quanto sia mai successo in Italia. Forse perché è stata la prima regista donna candidata all’Oscar con Pasqualino Settebellezze, nominata anche per la sceneggiatura originale, sempre sua, come miglior film straniero e trascinando Giancarlo Giannini alla candidatura come miglior attore. Non vinse, ma il film fu un trionfale successo, anche laggiù. Ma vale la pena ripercorrere la biografia di Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Español von Braucich, questo il suo nome per esteso ridotto poi a Lina. Anche perché la signora sin da bambina aveva il suo temperamento. Bisogna prendere le informazioni fornite da lei stessa con le molle perché era di carattere forte, ma anche bugiarda. Ha detto di essere stata cacciata da quattordici scuole, ma l’aneddoto risale addirittura al giardino d’infanzia. Un giorno viene annunciata a sorpresa la visita di una vigilatrice, autorità all’epoca (fascista) molto temuta dalle maestre. Lina deve andare al bagno. La maestra nega il permesso causa vigilatrice, che entra in aula, vede Lina scalpitante e la chiama verso la cattedra. E lì la bimba non trova di meglio da fare che tirar giù le mutandine e fare pupù. Una forma personale di ribellione all’autorità e alle convenienze. Un altro fatto significativo, che ribalta le tradizioni, era l’amore incondizionato per la madre, donna molto solare, alla quale Lina fa risalire il suo carattere allegro, più rigida invece nei confronti di papà «un basilisco dell’Ottocento, però molto più piacevole in pubblico che in privato. In casa era un pochino, come dire… maschilista… padre-padrone… per dirla tutta: un rompicoglioni». Tra le sue amicizie giovanili c’era Flora Clarabella, destinata a diventare la moglie di Marcello Mastroianni, fatto che ha favorito le conoscenze e le possibilità di Lina in ambito spettacolare.

IL SUO DEBUTTO cinematografico avviene come aiuto di Fellini per La dolce vita e 8 e1/2, «Fellini, una finestra aperta su una realtà che non conoscevo, è stato come seguire un mago benefico nel più stupefacente mondo dei balocchi, un mago rimasto ragazzo». E nel 1963 l’esordio con la regia di un film tutto suo I basilischi. Troupe cammellata dai film di Fellini per un racconto girato a Minervino Murge, al confine tra Puglia e Basilicata, a base di apatia e provincialismo (nel cast compare anche l’amica Flora), premiato al festival di Locarno. Subito dopo cambia registro, non vuole essere etichettata come regista impegnata e si fionda in tv per girare le otto puntate de Il giornalino di Gian Burrasca con Rita Pavone protagonista. Avrebbe dovuto essere uno spettacolo per bambini del giovedì pomeriggio. Divenne un cult del sabato sera soppiantando il classico varietà. E Nino Rota con Lina scrisse la mitica Viva la pappa col pomodoro e tutte le altre canzoni della serie. Torna al cinema facendo un po’ il verso a Scola (Se permettete parliamo di donne) con Questa volta parliamo di uomini, quattro episodi di genere diverso con Nino Manfredi protagonista. Uno sguardo altro sul pianeta uomo messo a nudo da una donna «voleva essere una scherzosa metafora sulla fragilità del nostro eterno compagno: l’uomo». E ritorna Rita Pavone con Rita la zanzara e Non stuzzicate la zanzara.

GIÀ COSÌ il quadro di Arcangelina dai perenni occhiali con la montatura bianca (negli anni Settanta ne ordina cinquemila a un’azienda produttrice, per non rischiare di rimanere senza) è abbastanza variopinta passando attraverso generi e approcci completamente diversi. Compreso un intervento, con pseudonimo su un western girato a Plitvice, ex Jugoslavia. L’attore americano intima a Lina di non fare più primi piani a Elsa Martinelli che a lui, la Wertmüller gli risponde che fingerà di non avere sentito. Quando gira un primo piano di Elsa l’attore se ne va stizzito. Lei fa in modo che gli abiti di scena siano subito restituiti, li fa indossare a una comparsa e fa pugnalare alle spalle l’ex protagonista. E quello la sera vuole chiarimenti bussando alla porta della regista che gli urla «tu per me sei morto… Va’ via, sparisci». E commenta «era troppo cretino» e risolve la sceneggiatura scritturando George Eastman e inventando una partita a poker. Gli aneddoti su Lina e le maestranze, oltre che con gli attori, sono infiniti, veri, presunti, indorati, speziati, di certo Lina non era una che le mandava a dire, affrontava le questioni con piglio maschile e sensibilità femminile in un mix irresistibile. E dopo inizia il periodo di collaborazione con Giancarlo Giannini, spesso in coppia con Mariangela Melato, fortemente voluti da Lina, soprattutto lei, «i miei film sono storici, politici, appassionati ritratti grotteschi della società del mio tempo».

FILM SEGNATI da un grande successo, planetario, che hanno portato Arcangelina nell’Olimpo dei registi mondiali, anche se lei ha saputo rifiutare le verdi lusinghe hollywoodiane (salvo darsi della stupida col senno di poi). Ha infilato uno dopo l’altro tantissimi film come regista, non tutti buoni, non tutti trionfanti al botteghino, tutti però suoi, riconoscibili e da questo punto di vista unici, compreso quell’ammicco a Io speriamo che me la cavo con Paolo Villaggio e quell’esercito di magnifici bambini chiamati a rinverdire i fasti di Gian Burrasca. Dal 2019 la Walk of Fame dell’Hollywood Boulevard ha una stella dedicata a Lina Wertmüller e lo scorso anno l’Academy le ha conferito l’Oscar alla carriera. In Italia nel 2018 è diventata Cavaliere. Fantastica la sua storia d’amore con lo scenografo Enrico Job quarantaquattro anni insieme, nonostante lei, prima di conoscerlo si fosse comportata come l’irriverente Lina. Poi l’amore esplode, «mi sei scoppiato dentro il cuore» scrive Lina e diventa testo di una canzone per Mina.