La risposta di Macerata, ma è bene dire di quasi tutta l’Italia antifascista e antirazzista, c’è stata.

I tre chilometri dell’anello che circonda le mura medievali della città hanno manifestato quasi 20mila persone. Qualcosa che non si era mai visto e che ha rotto l’isolamento di una piccola provincia.

In una mattina gelida e senza sole, già dalle 11 è cominciato l’assembramento ai giardini Diaz, con i ragazzi dei centri sociali che organizzavano il servizio d’ordine e distribuivano volantini. Visto lo spazio ristretto della piazza antistante al parco, man mano che arrivavano i pullman da ogni parte d’Italia la testa del corteo è avanzata, fino a fermarsi in viale Trieste. Da lì, verso le 15 è partito, in un clima finalmente disteso e gioioso.

Un paio d’ore di benefica decompressione, di musica e colori, in cui tutti quelli che hanno deciso di partecipare sono riusciti a liberarsi delle tensioni accumulate nella settimana.

Tutto il contrario di come era stato prospettato dai quotidiani locali, ancora ieri in prima pagina con titoli allarmistici, come «Barricati» o «Strade deserte e clima da coprifuoco» e le foto dei pochi che, al pari dell’arrivo di un ciclone, avevano bollato con tavole di legno l’ingresso delle loro attività. Quelli aperti sono stati sì presi d’assalto, ma dai clienti.

Le forze dell’ordine con una presenza massiva ma defilata e mai invasiva, hanno serrato gli accessi al centro storico evitando ogni tipo di contatto.

Le scuole erano state chiuse, i mezzi pubblici fermati e le arterie principali interdette al traffico, un’ordinanza vietava la somministrazione di bevande in bottiglie di vetro. Una serie di misure che a un abitante non avvezzo alle grandi manifestazioni aveva fatto pronosticare il peggio, così già da ieri sera le strade erano vuote e i parcheggi liberi.

Chi individualmente o con le basi di gruppi di appartenenza come Libera, Anpi, Cgil e Arci che hanno deciso a un certo punto di partecipare, hanno spinto il motore di questa giornata rappresentato dai centri sociali, arrivati con quasi 50 pullman. Una risposta, la loro, immediata e unanime, a cui poi si sono unite tutte le sigle, a partire dalla Fiom.

Egidio del centro sociale Insurgencia di Napoli è chiarissimo: «Questa è una chiamata per gli irriducibili della democrazia. Quello che è accaduto dopo l’attentato terroristico di Macerata è imbarazzante, le forze politiche e le organizzazioni di categoria non si sono dimostrate all’altezza rispetto al fenomeno del fascismo e del razzismo dilagante in questo paese».

Una festa di civiltà e rispetto, dove c’è stata una scelta precisa, quella di non avere un palco finale né di annunciare chi, dai microfoni della testa del corteo, ha parlato in nome dell’antifascismo. Nessun nome, come per un po’ sono state le vittime di Traini. Da quei microfoni si sono levate tante voci di resistenza che hanno preso di mira soprattutto il ministro Marco Minniti e il sindaco.

Si è trattata di una piazza multirazziale, composita e eterogenea nel rivendicare le colpe di chi la voleva far tacere.

Ai più è sembrato uno spartiacque fra la sinistra partitica e quella che cerca di lavorare sul territorio, Jacopo del centro sociale Rivolta di Marghera ci dice: «Da noi il razzismo è il pane quotidiano. La cosa assurda è che chi governa la nostra regione ha additato prima al sud e poi ai migranti le colpe della crisi economica. Nei nostri territori la sinistra partitica ha dimostrato la sua inadeguatezza nel rispondere ai problemi dei cittadini, i centri sociali sono rimasti presenti nel territorio e siamo vicini ai cittadini nella questione della casa o studentesche».

Un concatenarsi di storie, come quella di Mamadou Sy del Movimento dei Migranti e dei Rifugiati di Caserta e presidente dell’Associazione dei Senegalesi, da 16 anni in Italia che ci racconta le similitudini con i 6 migranti uccisi a Castel Volturno nel 2008: «Dopo 10 anni è la stessa situazione, con la difficoltà di far capire chi siamo, le nostre storie o che lavoro facciamo».

Un segnale però sembra partito, e proprio da dove non te lo aspetti, Macerata.

[do action=”quote” autore=”Nando, CSO Pedro”]Abbiamo distrutto la dicotomia fascismo/antifascismo violento. Il messaggio oscuro di Minniti è stato letteralmente disintegrato.[/do]

Nando, del centro sociale Pedro di Padova sintetizza così: «Non c’entrano la grandezza della città ma i ruoli che i centri sociali hanno assunto nelle varie fasi storiche. Oggi siamo riusciti a distruggere quella dicotomia fascismo/antifascismo violento, sorta a causa delle imposizioni di Minniti. Un messaggio oscuro che è stato letteralmente disintegrato».

La partigiana Lidia Menapace - foto di Aleandro Biagianti
La partigiana Lidia Menapace – foto di Aleandro Biagianti

 

Si sono visti fra gli altri Adriano Sofri, Cecile Kyenge, Sergio Staino, Gino Strada di Emergency o Pippo Civati (Leu), ma la metafora più calzante sullo stile di fare politica forse è stata la presenza della novantenne partigiana Lidia Menapace (candidata con Potere al popolo: «Fino a quando ho voce e forza preferisco stare in mezzo alle persone che capiscono il mondo in cui stiamo»), arrivata da Bolzano, e l’assenza del primo cittadino Romano Carancini, che da casa sua a pochi metri ha dichiarato di esserci col cuore.