Ci sono titoli che lasciano nel corpo una traccia indelebile. Una scarica elettrica emotiva che si riconosce nel tempo, rinnovandosi nell’impatto che si crea tra chi è in scena e chi sta fuori. Le Sacre du Printemps di Igor Stravinskij nella versione del 1975 di Pina Bausch è tra questi. Quell’energia primordiale vissuta ormai in quasi cinquant’anni dai danzatori che ne hanno fatto parte nel tempo, quella sensazione di paura, di scossa tellurica che il capolavoro stravinskijano scatena sottopelle, sono, nella versione di Bausch, un crescendo che sgomenta, irrefrenabile nella sua potenza.
Lo si legge negli occhi dei più giovani che vedono dal vivo Le Sacre di Pina per la prima volta, un viaggio del corpo condiviso da generazioni e generazioni. Persone di ogni età che con Le Sacre diventano parte di quel furibondo rito di fertilità consumato su una distesa di terra scura rovesciata a vista in scena prima dell’introduzione stravinskijana aperta dall’assolo del fagotto. È accaduto puntualmente al Lac di Lugano che è riuscito ad avere nella sua stagione di danza Le Sacre du Printemps di Bausch rimontato prima della pandemia in Senegal con 38 danzatori africani. Molte le nazionalità coinvolte con interpreti originari da Benin, Mali, Senegal, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Togo, Madagascar, Kenya, Ghana, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Nigeria, Sud Africa. Nato dalla collaborazione tra la Fondazione Bausch, l’École de Sables, diretta in Senegal dalla madre della danza africana Germaine Acogny, e il Sadler’s Wells di Londra, il debutto dello spettacolo e sua relativa tournée furono bloccati nel 2020 dal Covid, ne venne fatto un magnifico film, Dancing at Dusk, girato all’aperto sulla sabbia del Senegal. Poi finalmente lo spettacolo andò in scena anche a teatro nel 2021, terra scura come nell’originale, in Italia ad averlo fu solo il Festival di Spoleto l’anno scorso. Non facile organizzare le tournée, raccogliendo di nuovo tutti i danzatori. Un pezzo che merita di essere visto e rivisto.

A RIMONTARLO in Senegal sono stati alcuni nomi storici del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch tra cui Josephine Ann Endicott, straordinaria Eletta de Le Sacre di Pina nella stagione del debutto. «Mai nella vita» racconta Endicott «dimenticherò il primo filato del Sacre… Quell’impressione di danzare dentro la terra, di stendersi in essa, sentendola molle e silenziosa… Ascoltare gli altri respirare, sentire il corpo tremare, percepire la paura degli altri, l’affanno nel gruppo, corpo a corpo».
Le Sacre è rinato negli anni con l’Opéra di Parigi, Pina ancora viva, poi con l’English National Ballet, il Balletto Reale delle Fiandre, è un pezzo che sarebbe da avere nel repertorio di un teatro d’opera italiano. Perché è un lavoro in cui la scrittura coreografica assorbe in sé dalla musica la potenza dell’istinto, la crudezza, l’energia primigenia, il ritmo ossessivamente ripetuto negli accordi, la spasmodica, liberatoria esplosione che segue la scelta dell’Eletta, la rivolta e il cedimento alla morte nella danza sacrificale finale.
Vederlo con i giovani danzatori africani per il progetto nato in Senegal ne è ennesima prova che sollecita anche le questioni aperte dalla stessa Fondazione Bausch sulla ripresa dei pezzi nati originariamente con il Tanztheater Wuppertal. Quale è il senso della trasmissione di una grande opera del repertorio della danza novecentesca a interpreti delle nuove generazioni? Quale può essere l’apporto dei danzatori di oggi, come essi influiscono sulla rimessa in scena, in che misura esistono cambiamenti ammissibili nel rispetto della fedeltà all’originale? Viene da pensare a quanto la stessa Pina avesse amato trasmettere un pezzo fantastico come Kontakhof nato con i suoi danzatori, prima a un gruppo di over 65, poi ad adolescenti che ne trasformavano l’impatto dentro le loro età, pur nel rigore della ricostruzione. Pezzo che nella stagione scorsa è entrato nel repertorio del Balletto dell’Opéra di Parigi.

IL FATTO è che i lavori di Bausch sono un miracolo di struttura compositiva, coreografica e drammaturgica. Una solidità di montaggio che permette la trasmissione a danzatori di diversissima formazione, addirittura senza, come nel caso delle due versioni per over 65 e giovani di Kontakhof. Nel Sacre africano al Lac, l’energia del gruppo maschile, il dolore e lo spavento del gruppo femminile e dell’Eletta, colpivano per l’estensione generosa del movimento, come se la necessità di dare voce al terrore della fine, volesse più spazio per essere ascoltata. Una sfumatura che non può lasciare indifferenti. Commovente il prologo a Le Sacre: un duo danzato dalla stessa Germaine Acogny insieme a Malou Airaudo, nome storico del Wuppertal Tanztheater e altra favolosa Eletta degli anni Settanta. Un intreccio tra due assoli, evocativi di due lunghi percorsi, un ponte magnetico verso il Sacre africano.

 

Tanztheater Wuppertal

L’immersione nel mondo di Pina Bausch e dell’attuale Tanztheater Wuppertal / Terrain diretto da Boris Charmatz è un’esperienza da non perdere. Appuntamento a Parigi dal 7 aprile al 7 maggio. Si inizia al Théâtre du Châtelet con il focoso «Liberté Cathédrale» di Charmatz passato a settembre scorso alla Biennale di Lione. Un’elegia all’essere umano nella sua capacità di relazione in cui la potenza del movimento del corpo, unita al canto collettivo dei danzatori e alla partitura per organo suonato dal vivo da Jean-Baptiste Monnot è un affondo nell’animo dello spettatore. Dal 23 aprile ci si sposta al Théâtre de la Ville con «Sweet Mambo» di Pina Bausch, pezzo del 2008 di una femminilità travolgente, in cui riassaporare l’amore di Pina per ciò che la danza muove. In giugno è invece a Wuppertal che rinasce «Viktor», il pezzo dedicato a Roma nel 1986 che inaugurò i titoli per le città del mondo. (fr.pe.)