Circa un milione e trecentomila persone sono state chiamate al voto in Irlanda del Nord. Dalle elezioni usciranno 18 deputati che solo potenzialmente andranno a sedere tra gli scranni di Westminster. È infatti scontato che gli eletti di Sinn Féin non accetteranno di occupare i seggi ottenuti, come da tradizione.

Le ultime ore di campagna elettorale hanno segnato ulteriori divisioni tra i partiti che, per la particolare strutturazione delle circoscrizioni, ognuna delle quali elegge un singolo deputato, hanno stretto alcuni patti di desistenza nei distretti chiave. Quelli in bilico non sono molti, quattro o cinque, e tra questi il più simbolicamente importante è quello di Belfast Nord in cui è candidato John Finucane, figlio dell’avvocato freddato dalle squadracce lealiste nel 1989.

Finucane è il sindaco di Belfast e un astro nascente di Sinn Féin. Nelle passate elezioni, sempre nella circoscrizione di Belfast Nord, ha perso per circa duemila voti. Oggi, con la desistenza del Partito social democratico e laburista (Sdlp) e del Green Party – 2.500 voti ottenuti alle elezioni del 2017 – potrebbe strappare uno storico seggio agli unionisti del Dup. Nessun candidato non unionista, infatti, ha mai vinto a Belfast Nord.

Particolare attenzione sta ricevendo l’Alliance Party di Naomi Long, candidata a East Belfast, che raccoglie consensi cross-community, ossia da entrambi i bacini elettorali, per via delle sue politiche non-identitarie. Alliance è l’unico partito che non ha siglato patti di desistenza.

La polarizzazione dell’elettorato e il richiamo costante a questioni identitarie hanno reso queste elezioni quasi uniche negli ultimi anni, in quanto il dibattito sulla fattibilità della Brexit è andato a mescolarsi alla possibilità di una riunificazione delle due Irlande, prospettiva che appare non più, troppo lontana nel tempo. È un’ipotesi che comunque dovrebbe prima passare per un referendum popolare.

Il dibattito tra i partiti è divenuto bollente grazie alle ultimissime rivelazioni di Jeremy Corbyn, secondo cui alcuni documenti governativi segreti parlerebbero dei preparativi per una «separazione simbolica» tra il Regno Unito e l’Irlanda del Nord, con lo spostamento de facto del confine doganale nel Mare d’Irlanda. Sarebbe il primo passo verso il referendum sulla riunificazione.

Secondo questi documenti, il primo ministro inglese starebbe mentendo al suo stesso elettorato, e anche agli unionisti del Nord. Johnson ha puntualmente smentito tale tesi, tentando di rassicurare gli unionisti che non ci sarà alcun confine al largo di Belfast. È tuttavia un dato di fatto che l’ipotesi più accreditata sia quella di consentire controlli doganali sui beni di passaggio tra l’Isola d’Irlanda e il Regno unito, una volta giunti sul suolo britannico.

Questa decisione – rimasta l’unica possibile, una volta scartate le strategie legate all’opzione backstop – è fonte di enorme preoccupazione all’interno della comunità unionista, e anche di polemica tra i due maggiori partiti, l’Ulster Unionist Party (Uup) e il Dup, con il primo che accusa il secondo di aver svenduto la causa dell’Unione avendo accettato il protocollo Johnson sul confine. In realtà, tale tensione interna all’unionismo appare motivata dal tentativo di Uup di tornare a essere il primo partito, dopo esser stato scavalcato dal Dup nel lontano 2004.

L’accusa al Dup di Arlene Foster di aver già negoziato una strategia post Brexit con Johnson, viene avanzata anche dai rappresentanti della comunità nazionalista-repubblicana, seppure in chiave diversa. Sinn Féin, infatti, nonostante sia ufficialmente contrario a Brexit, vedrebbe il cammino verso un referendum sulla riunificazione paradossalmente spianato proprio dalla prospettiva di un distacco – sebbene nei primi tempi soltanto sostanziale – tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito.

Non è infatti difficile immaginare, e lo dimostrano tanti studi recenti, che la situazione economica dell’Irlanda del Nord sarebbe molto più al sicuro nel contesto della riunificazione – e dunque dell’appartenenza all’Unione Europea – rispetto alla possibilità di rimanere come dei separati in casa con la Gran Bretagna.