Iraq, la piazza e il presidente: no al premier repressore
Rivoluzioni Salih minaccia le dimissioni pur di non confermare la nomina a primo ministro di Asaad al-Eidani da parte del blocco sciita filo-iraniano. Governatore di Bassora, legato a Teheran, ha represso le manifestazioni contro corruzione e disoccupazione
Rivoluzioni Salih minaccia le dimissioni pur di non confermare la nomina a primo ministro di Asaad al-Eidani da parte del blocco sciita filo-iraniano. Governatore di Bassora, legato a Teheran, ha represso le manifestazioni contro corruzione e disoccupazione
Barham Salih non è da solo: la decisione di dimettersi da presidente della Repubblica dell’Iraq come forma di protesta per la nomina di un premier filo-iraniano è stata appoggiata da tanti. Dai curdi del Puk, il partito del clan Talabani; da Sairoon, coalizione di sadristi e comunisti; dal partito Al-Nasr dell’ex primo ministro al-Abadi; dalla lista sunnita del Salvation Front.
Ma soprattutto Salih ha il pieno sostegno della protesta che dal primo ottobre manifesta (e muore) per un altro Iraq, non più basato su una divisione settaria del potere, non più corrotto, non più dipendente da Iran e Stati uniti.
Il premier che la maggioranza relativa del parlamento ha proposto, Asaad al-Eidani, è l’opposto. Ex ingegnere e poi ex banchiere, figlio di Abdul Amir al-Eidani (capo della potente tribù Eidan), fallito golpista contro Saddam nel 1991 e tra i protagonisti del processo di cancellazione degli uomini e dell’eredità del partito Baath dopo il 2003 (ha revocato posti di lavoro e arrestato tantissimi ex baathisti), nel 2017 è stato nominato governatore di Bassora, un anno prima dello scoppio delle proteste popolari estive contro blackout elettrici e disoccupazione rampante.
Per le piazze piene è l’uomo, notoriamente filo-iraniano, che ha represso le manifestazioni nella città meridionale e che non ha saputo dare risposte a una comunità che chiedeva (e chiede) condizioni di vita decenti e la fine di un sistema di potere intrinsecamente corrotto e malato.
Eppure è al-Eidani che la maggioranza del parlamento ha scelto come successore del dimissionario Abdul Mahdi. A indicarlo è stato il blocco politico Binaa, formato dall’ex primo ministro al-Maliki (considerato l’ingegnere dell’attuale sistema politico, repressore della comunità sunnita e responsabile della corruzione strutturale del paese) e da Hadi al-Amiri (leader della potentissima organizzazione Badr, parte delle Unità di mobilitazione popolare filo-iraniane, le cosiddette milizie sciite). Contro la sua nomina si è sollevato il presidente Salih: giovedì ha minacciato le dimissioni pur di non confermare al-Eidani al premierato.
Fuori, nelle strade, Salih ha ricevuto il sostegno di centinaia di migliaia di iracheni che da giorni sventolano cartelloni con una croce rossa sopra il volto del governatore di Bassora. A reagire, all’opposto, sono i partiti affiliati a Teheran che accusano il presidente – un curdo, come prevede il sistema settario inventato dagli Stati uniti dopo l’invasione del 2003 – di essere manipolato da Washington con l’obiettivo di gettare l’Iraq nel caos. Nessuna parola per gli oltre 510 manifestanti uccisi in tre mesi.
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