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Iran e Usa, «la vera posta in gioco è geopolitica»

Iran e Usa, «la vera posta in gioco è geopolitica»

Iran/intervista L’ambasciatore Toscano, a Tehran dal 2003 al 2008, dopo le parole di Khamenei

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 19 luglio 2015

Gli Stati uniti sono «arroganti», «accusano di terrorismo Hezbollah, ma sostengono il regime terrorista sionista». Nonostante l’accordo, raggiunto a Vienna lo scorso mercoledì, non è cambiata di una virgola la retorica anti-americana e anti-israeliana della Guida suprema Ali Khamenei che ha parlato ieri in occasione della preghiera di fine Ramadan.

«Non smetteremo mai di sostenere i nostri amici nella regione, i popoli della Palestina, dello Yemen, della Siria, dell’Iraq, del Bahrain e del Libano», ha aggiunto Khamenei sottolineando che la politica estera iraniana verso gli Usa non cambierà: «siamo diametralmente opposti». «Dicono che hanno impedito all’Iran di dotarsi dell’atomica ma noi non l’abbiamo mai voluta», ha chiosato Khamenei, lodando il lavoro dei negoziatori iraniani. Ormai è questione di giorni per il voto dell’intesa che ha sancito il diritto iraniano al nucleare civile e alla fine delle sanzioni al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Poi toccherà al Congresso Usa. Abbiamo parlato dell’accordo di Vienna con l’ambasciatore Roberto Toscano, in Iran dal 2003 al 2008.

Quali saranno le conseguenze nel medio e lungo termine dell’intesa?
Le reazioni alla conclusione dell’accordo (soprattutto da parte di chi è contrario) rivelano che la vera posta in gioco non è mai stata il nucleare ma la geopolitica regionale. Per l’Iran si trattava di usare il problema per ottenere che gli americani accettassero di negoziare con loro. Per gli americani, vedere – soprattutto alla luce dei ripetuti disastri (dall’Iraq alla Libia alla Siria) – se non sia possibile creare un’alternativa all’incondizionale allineamento alle posizioni, e agli interessi di Israele e Arabia Saudita, alleati da cui vengono più problemi che soluzioni. Inoltre, Obama conferma con l’Iran, dopo l’inizio della normalizzazione con Cuba, la sua decisione di non rimanere vincolato a politiche decennali che non hanno portato a risultati se non negativi. Segue il principio: «Se sei caduto in un buco, smetti di scavare». Per quanto riguarda Mosca, va notato che Obama ha subito reso omaggio alla politica realista e collaborativa dei russi sulla questione iraniana («nonostante i problemi che abbiamo con loro sull’Ucraina»). Non sarà facile che questa buona volontà si estenda, ma non è del tutto escluso, in particolare sulla Siria.

Ritiene che ci siano dei punti tecnici deboli di questo accordo?
Per chi pretendeva che l’Iran rinunciasse a tutti i suoi diritti derivanti dal Tnp, il Trattato di non proliferazione, («zero centrifughe»: gli americani ci hanno messo molto tempo a rinunciare a questa pretesa) l’accordo è ovviamente insufficiente. Anzi, ricordiamo che la pretesa non era quella, sacrosanta e sanzionata dal Tnp, di impedire all’Iran di costruirsi una bomba atomica, ma impedirgli di sviluppare «una capacità»: qualcosa che si può fare solo uccidendo scienziati nucleari (come del resto è avvenuto). L’intesa raggiunta a Vienna è ragionevole e sostenibile, e riflette il famoso slogan reaganiano: «Trust but verify». La frase dell’accordo che per gli iraniani costituisce il più grande successo è quella che dice che l’Iran avrà – a condizione di ispezioni e controlli – tutti i diritti riconosciuti agli altri membri del Tnp.

A parte le reazioni iranofobiche di repubblicani e israeliani, si può criticare la storica intesa perché potrebbe prolungare il conflitto in Siria?
Sulla Siria credo che Bashar al-Assad farebbe bene a non festeggiare troppo. Gli iraniani, come del resto tutti quelli che operano sulla base dell’interesse nazionale, non hanno nemici permanenti, ma solo interessi permanenti. Assad non riesce a vincere, ma i ribelli nemmeno. Si apre così la possibilità che gli sforzi finora vani dei mediatori Onu abbiano un risultato, e che venga accettato un compromesso che permetta di mettere fine all’orrenda strage e alla distruzione di un paese. L’Iran (e anche la Russia) potrebbero svolgere un ruolo in questa ricerca. Andranno coinvolti. Sono certamente tra quelli a cui non fa comodo la frammentazione della Siria (e quella dell’Iraq), e soprattutto sono nemici veri dello Stato islamico. Non come certi partecipanti all’alleanza di facciata che lo combatte.

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