È un manuale agile e felicemente politico quello che consegna il collettivo Ippolita nel suo Tecnologie del dominio. Lessico minimo di autodifesa digitale (Meltemi, pp. 283, euro 18), un volume non neutrale ma di parte, utile per comprendere la trasformazione di Internet negli ultimi anni. Da quando il discorso sulla rete ha abbandonato le proiezioni utopistiche delle origini scottandosi con le fake news e la potenza del capitalismo delle piattaforme digitali, Ippolita resta una guida nella «deriva in un caos estremamente ordinato».

IPPOLITA ci porta al cuore della distopia contemporanea del capitale: merci, beni e servizi che si producono da soli senza il lavoro umano, mentre la forza lavoro non avrà bisogno di essere pagata perché è l’accento rosa tra la parola «smart» e il suffisso 4.0. Il lessico è scandito per lemmi (dalla A di Algoritmo alla W di Wikileaks) e per percorsi di lettura interni. Si tratta di un contributo collettivo teso a orientarsi criticamente tra le robinsonate della «quarta rivoluzione industriale»: il processo di digitalizzazione che spinge a credere che ogni «mi piace» su facebook sia un passo verso l’automazione totale.

Tecnologie del dominio è un antidoto contro la propaganda digitale fondata sulle parolette magiche come sharing economy o gig economy e racconta il rovescio di un mondo basato sul lavoro digitale (digital labour): i rider di Foodora o Deliveroo che consegnano in bicicletta una cena giapponese a mezzanotte; l’autista di Uber il cui guadagno dipende dalla reputazione stabilita dalla valutazione del cliente a fine corsa.

Sono alcuni esempi del dispositivo che organizzerà la vita, il lavoro, lo Stato e la politica. Di tutti, non solo del ceto medio impoverito che oggi cerca un reddito affittando l’appartamento o condividendo le spese di un viaggio in macchina.

IPPOLITA INVITA a un sottile esercizio filosofico. L’autodifesa digitale consiste nella pratica di uno «scetticismo metodologico» necessario per comprendere la dissimulazione di una realtà «ben poco smart, per nulla luccicante: una realtà fatta di sfruttamento e servitù volontarie, di sottintesi legali e tranelli concettuali».

L’esito della critica del capitalismo digitale non è solo la denuncia dello sfruttamento – come accade di solito a sinistra – ma la decostruzione di quella che Axel Honneth o Nikolas Rose definiscono «politica del capovolgimento nell’opposto» che porta il soggetto a sottomettersi a un dispositivo che formalmente promette una libertà ma materialmente rafforza l’auto-sfruttamento.

L’«ILLUSIONE» da decostruire con lo «scetticismo metodologico» non è solo un’«ideologia» – la «falsa coscienza» – ma l’effetto di un dispositivo che mette al lavoro la psicologia individuale e collettiva di soggetti traumatizzati, performanti e egolatri.

L’ordine del discorso del capitalismo digitale non è estraneo al soggetto, ma è agito dal soggetto nella «società della prestazione». Sintomatica è la voce filter bubble, la cornice cognitiva all’interno della quale l’utente della piattaforma del Santo Connettore Zuckerberg si sente cittadino del mondo. Questo mondo coincide con la cerchia degli «amici» ed è basato sul rispecchiamento del Sé, non sul riconoscimento dell’Altro. L’obiettivo di un’altra politica passa per un’«antropologia di noi stessi» e dalla valorizzazione delle differenze «senza renderle assolute».

DECISIVO è anche il lemma su disruption/disruzione, un concetto inteso come la capacità dei giganti del digitale di «distruggere» e «innovare» settori tradizionali come il trasporto privato di linea (taxi) o l’ospitalità alberghiera (Airbnb). Da qui nascono le geremiadi sulla facoltà eroica dell’imprenditore tecnologico e sulle virtù salvifiche degli unicorni digitali. Questa teoria è la manifestazione del «libertarianesimo», variante anarco-capitalista del «neoliberismo», il centro dell’«ideologia californiana» che ha colonizzato la lingua della politica.

LO STILE «HACKER» di Ippolita non è catastrofista o luddista, ma spinge a maturare una forte posizione etica rispetto alle potenzialità che abbiamo a disposizione. In un’economia come quella digitale l’apertura verso il possibile è simulata, come emerge dalle voci come Panottico digitale o Trasparenza radicale. Si afferma un discorso che avvelena le basi dell’emancipazione, intorbida e devia il desiderio, i principali strumenti per creare una differenza nel rapporto di potere.

L’esercizio della critica – o pedagogia hacker – coincide con un tentativo di individuare una prassi e riaprire la finestra del possibile proprio lì dove tutto sembra essere generato dall’automazione.

Nell’algoritmo c’è vita. Questa vita siamo noi.

«Tecnologie del dominio» di Ippolita sarà presentato a Roma domenica 29 ottobre alle 18 nella nona edizione del Salone dell’editoria sociale da Lelio De Michelis, Giorgio Airaudo, Riccardo Staglianò, Roberto Ciccarelli. Il Salone inizia oggi a Porta Futuro in via Galvani. Il programma è su editoriasociale.info